venerdì 12 agosto 2011

Repubblica 12.8.11 
La truffa dei biglietti, il club per miliardari E opere rubate senza difficoltà. Shock a Pechino
L´ultimo scandalo della Città Proibita
di Giampaolo Visetti


Il Palace Museum ha ammesso che i danni ammontano a diversi milioni di euro
A maggio lo Jianfu Palace era stato trasformato in un circolo esclusivo per nuovi ricchi

PECHINO. Si chiama "Città Proibita" ma potrebbe essere ribattezzata "Città Concessa". Inaccessibile in epoca imperiale, ermeticamente chiuso ai tempi di Mao, il simbolo della millenaria cultura cinese si sta trasformando nel self-service privato dei funzionari post-comunisti. Il più importante museo della Cina, nel cuore di Pechino, è scosso dagli scandali e le autorità della capitale temono di non riuscire a frenare l´indignazione e la rabbia che montano sul web. Furti, pezzi di inestimabile valore distrutti, padiglioni trasformati in privè per vip, crolli e collezioni in rovina: Pompei e l´Accademia di Brera in confronto sembrano caveau svizzeri e il governo cinese, messo in imbarazzo dalle denunce della stessa stampa di partito, teme di non ottenere più prestiti dall´estero per esposizioni già programmate.
L´ultima beffa, denunciata dal settimanale Caixin, ricorda Totò che cercava di vendere il Colosseo ai turisti americani. Le guide cinesi, con la complicità dei funzionari dell´amministrazione, non promettevano la cessione di una camera con vista su piazza Tiananmen. Consideravano però la Città Proibita come un bene di proprietà e semplicemente si intascavano i soldi dei biglietti. Meccanismo elementare: riscuotevano dalle comitive dei visitatori il denaro per l´acquisto dei tagliandi, ma invece di acquistarli facevano entrare tutti gratis. A fine giornata il ricavato veniva diviso con guardie, controllori e dirigenti del museo.
Impossibile quantificare le perdite, perché nessuno ha potuto registrare gli ingressi reali. Il portavoce della società che gestisce il "Palace Museum" ha ammesso ieri che ammontano ad «alcuni milioni di euro». La truffa, secondo i giudici, potrebbe rivelarsi colossale. Lo scorso anno la Città Proibita, museo più grande del mondo ricavato nella secolare residenza delle dinastie che da qui governavano la Cina, ha fatturato 60 milioni di euro, staccando quasi 13 milioni di biglietti. Se solo il dieci per cento dei visitatori hanno versato la tariffa nelle tasche dei dipendenti, il ministero delle Finanze avrebbe perso circa sei milioni, da moltiplicare per gli anni in cui il raggiro è stato possibile.
A inchiodare guide e funzionari, le telecamere. Hanno filmato alcuni dirigenti mentre ricattavano i colpevoli, pretendendo mazzette da 20 mila euro in cambio del silenzio. I vertici della struttura, patrimonio dell´Unesco, sono stati costretti ad ammettere che «uno schema di gestione poco trasparente ha lasciato aperte le porte alla corruzione».
Nel mirino però ora c´è l´intero sistema culturale del Paese, accusato di ridurre i massimi tesori dell´arte mondiale a merce da vendere agli operatori turistici, o al migliore offerente. La polizia indaga su una maxi truffa che coinvolgerebbe lo stesso mausoleo di Mao, luogo sacro alla Patria, e gli scavi dell´esercito di terracotta di Xian.
L´epicentro degli scandali resta però la Città Proibita. La settimana scorsa un prezioso piatto in ceramica della dinastia Song è andato in mille pezzi nel corso di un tentativo di restauro. La direzione del museo ha smentito, salvo poi negare un commento dopo che sono state pubblicate le foto dell´opera in frantumi. Ai primi di maggio un ladro è riuscito a nascondersi nel palazzo Feng Nai´en e a restarci indisturbato per tutta la notte. Ha rubato nove pezzi della collezione Yiu-fai, prestata dal Museo Liangyi di Hong Kong, riuscendo a svignarsela senza essere ripreso dalle telecamere. Arrestato dopo alcuni giorni in circostanze rocambolesche, mentre il ministero della Cultura si copriva di ridicolo, fino a oggi è riuscito a non restituire tutte le opere sottratte.
A fine maggio è poi esploso il caso del "Club dei Cinquecento", denunciato dalla tivù di Stato. Lo Jianfu Palace, uno tra i più ricchi della Città Proibita, era stato concesso ad una società privata per essere trasformato in un circolo esclusivo per politici, funzionari, imprenditori e nuovi milionari. Il club vip aperto in un´ala del museo offriva banchetti, feste e spettacoli: il tutto per sole 500 star del potere, che versavano un´iscrizione annuale di 100mila euro.
La Cina degli ex compagni delle comuni rosse ha così scoperto che ciò che resta del suo patrimonio artistico è ormai tra i più ambiti strumenti usati per scavare un abisso di differenza tra i pochi ricchi e i molti poveri. Palazzi imperiali, edifici storici e templi buddisti si trasformano in hotel a cinque stelle, centri benessere e shopping center. Arricchirsi sarà pure glorioso, dopo Deng Xiaoping: ma forse il padre del capitalismo di partito non intendeva dire a colpi di mazzette.

Repubblica 12.8.11 
Se i potenti della terra perdono il loro carisma
La vita breve dei leader
di Raffaele Simone


Presidenti democratici, aspiranti tali o tiranni: oggi il segno del comando sembra durare sempre meno
Quasi tutti hanno solo riferimenti "domestici" e così perdono la capacità di capire il mondo
È chiaro che nella politica c´è una nuova variabile: la democrazia digitale

Finché non sarà finito, questo 2011 sarà un pericolo per i leader del mondo, sia per quelli di paesi democratici sia per tiranni e cacicchi della più varia tipologia. Forse perché è indicato da un numero primo, l´anno in corso sta infatti portando iella a una quantità di capi troppo grande perché si tratti di un fenomeno occasionale. Sono caduti alcuni tiranni medio-orientali (Ben Ali in Tunisia, Mubarak in Egitto) ma la lista sembra ancora aperta (vedi Abdullah Saleh in Yemen e Hassad in Siria). Al tempo stesso non navigano in buone acque diversi capi occidentali: Obama vacilla; Cameron deve sbrigarsela, oltre al resto, con l´enigmatico fenomeno dei riots nel suo paese; Sarkozy annaspa, sfiorato da scandali di vario genere; Zapatero ha annunciato il ritiro dalla politica e neanche Berlusconi si sente tanto bene. Il secondo girone del potere non sembra più protetto: basti pensare all´ascesa e alla repentina caduta di Strauss-Kahn.
Il potere hard sta migrando in altri luoghi? Il mondo resterà forse senza leader? Battute a parte, l´orizzonte di instabilità personale e la repentina perdita di carisma che ho descritto pongono interrogativi che meritano attenzione. Significa infatti che una varietà di elementi di sfondo della cultura politica sono cambiati di recente in modo così brusco che i "nostri" non sono riusciti a percepirli e tanto meno a prenderne il controllo. Il primo di questi è la diffusione capillare della comunicazione digitale (telefonini, computer, reti sociali), che pareva una novità tecnologica e si sta invece rivelando una bomba politica senza precedenti. La gente comincia a disporre di forme inedite di collegamento e così acquista la capacità di "trovarsi", di farsi sentire, di organizzare manifestazioni e proteste, anche senza sapere se esista una qualche bandiera da issare. Questa risorsa è il presupposto dei sommovimenti dei paesi arabi.
Sebbene la conclusione di quelle crisi non si annuncia promettente in tutti i casi (si pensi al regime militare che si sta formando in Egitto), è chiaro che nella politica è entrata di prepotenza una nuova variabile, dinanzi a cui il potere ancien régime – sempre una lega più indietro dell´evoluzione della società – è cieco e sordo: la "democrazia digitale", della quale non abbiamo visto finora che i primi episodi e di cui ignoriamo il segno. Alcuni aspetti però già si intravedono: tra questi l´eccezionale potenziale di contagio. In aggiunta, la sfera dei comportamenti collettivi è ormai caratterizzata da una catena di innovazioni che ha la velocità di una pantera: ti accorgi che c´è solo dopo che è passata; e un politico alla maniera tradizionale (o persino quando sembra più moderno di altri) è del tutto incapace di starle appresso e di sentirne l´odore. E dato che (come notava Hannah Arendt nel suo Sulla violenza), «il peggior nemico dell´autorità è il disprezzo e il modo più sicuro per scuoterne le basi è il riso», il potere può essere spiazzato, anche nei paesi più cupi, con comportamenti creativi: fenomeni come la "battaglia delle pistole ad acqua" che si accenna in Iran o l´opposizione a Lukashenko fatta… a scoppi di risate per la strada sono interpretazioni geniali, minimaliste ma micidiali, di questa possibilità.
E per l´occidente? Qui valgono, oltre alle considerazioni che ho appena fatto, anche fattori più specifici. Che i riots inglesi si siano prodotti mediante istantanee auto-convocazioni via telefonino e social forum sembra indiscutibile. Il modo della convocazione di massa ne indirizza però anche le forme: il vistoso elemento rock (movimento, vibrazione) e nichilista ("sfasciamo tutto"), aggiunto al gusto dell´atto gratuito ("vediamo l´effetto che fa"), assai evidenti nei fatti d´Inghilterra, possono portare a risultati catastrofici. A qualcuno per esempio potrebbe sembrare fun vedere che effetto fa l´Inghilterra intera (o l´Europa) in fiamme. In questa chiave, le sommosse inglesi possono diventare di scatto un pericoloso paradigma.
Dinanzi a questi fatti i governi occidentali dovrebbero esser seriamente preoccupati ed esercitare uno sforzo di interpretazione al quale non sembrano preparati. Non a caso, finora il problema dei riots è stato inquadrato come un affare di criminalità comune. David Cameron ha sostenuto senza esitare che le sommosse di Londra sono "pura e semplice delinquenza", dimostrando così clamorosamente la grana grossa della sua intelligenza politica. Gli sfugge che i delinquenti di professione fin qui non hanno partecipato e (quel che più importa) che gli agitatori hanno potuto contare su un reticolo finora incontrollabile di media personali (telefonini in testa). Del resto, altri fenomeni collettivi recenti (manifestazioni di movimenti, gruppi, comitati, bande…) avrebbero dovuto suggerire che queste novità non riguardano solo le polizie, ma più ancora la sfera politica. Che è del tutto disarmata dinanzi a un mondo in cui per organizzare comportamenti collettivi basterà un tam tam capillare, istantaneo e magari acefalo, che non lascia traccia che nei tabulati.
C´è un´altra novità che minaccia i sonni dei leader occidentali. Pensiamo a un episodio eloquente: la settimana passata Barack Obama ha tenuto un solenne discorso per tranquillizzare i mercati ("le borse vanno su e giù, ma gli Stati Uniti sono, e saranno sempre, un paese da tripla A"…), e un istante dopo i corsi di Wall Street sono crollati. Si parva licet, Obama era stato preceduto: qualche giorno prima al nostro presidente del consiglio era capitata la stessa cosa. È la globalizzazione, bellezza… verrebbe da dire: delle esortazioni dei leader nessuno sa più che farsene.
I due fatti, sebbene abbiano come sfondo rispettivamente il maggior player economico mondiale e un paese alla periferia dell´impero, raccontano la stessa storia: la squadra alle spalle del potente sta cambiando. Finora questa comprendeva obbligatoriamente un rappresentante del grande capitale (in Italia per questo ruolo bastava un palazzinaro di peso), un tycoon dei media, qualche uomo dei servizi segreti, rappresentanti di lobby e gruppi di interesse e (a seconda dei paesi) esponenti di chiese e confessioni. Talune di queste figure potevano coincidere nella stessa persona. In ogni caso tutti questi individui potevano essere tranquillamente domestic, cioè espressione del mondo di quel paese. Ora quella composizione sembra non bastare più, perché le variabili da controllare, immensamente più vaste, coprono l´intero pianeta. Se il debito pubblico statunitense è in gran parte nel portafoglio della Cina e l´italiano in quello della Germania, la squadra del leader dovrebb´essere integrata da qualcuno in grado di governare movimenti planetari di capitali, da un George Soros o un Warren Buffett.
Ma questi gnomi non lavorano per il potere politico, anzi costituiscono un contropotere rispettato e riconosciuto. Per questo, almeno per ora, il loro interesse sembra più quello di far ballare i governi alla loro musica che di aiutarli a salvare le penne.

Repubblica 12.8.11
Proust
Quando Marcel decise di gettare la maschera
di Eugenio Scalfari


Le 150 pagine furono pubblicate un anno dopo la sua morte nel 1923
Nel libro ricorda più volte il rapporto morboso con la madre e il desiderio di possesso
Domani con "Repubblica" il romanzo breve "Precauzione inutile", in cui l´autore della "Recherche" è protagonista con il suo vero nome Al centro della storia, l´amore per Albertine

Anticipiamo parte dell´introduzione di a Precauzione inutile, il romanzo breve di Marcel Proust
Per la prima volta (ma non la sola) l´autore si autonomina con il suo vero nome, Marcel. In realtà l´intera Recherche è costruita come un labirinto di specchi e il personaggio che vi appare di continuo è proprio lui, Marcel Proust, nelle più diverse maschere e nei più diversi atteggiamenti e comportamenti. A volte è Marcel usato come un nome di fantasia e personaggio tra personaggi, a volte è soltanto la voce parlante che porta avanti il racconto, a volte è Swann, a volte è l´Autore, a volte è Charlus. Queste maschere a loro volta sono colte dagli specchi in vario modo: i loro vizi risultano in modo impietoso, oppure viene mostrata e descritta la loro mitezza, la loro generosità, talvolta il loro coraggio, dall´altra la loro abiezione, come gli specchi del labirinto ti ritraggono a volte fedelmente, oppure deforme, nano o gigante, concavo o convesso nelle pieghe del volto e del corpo.
Questa è la Recherche in generale e la Prisonnière in particolare e questa è l´essenza delle 150 pagine che furono pubblicate un anno dopo la morte di Proust, nel 1923.
Sappiamo tutti che la Recherche è un viaggio nell´inconscio, nelle nevrosi dell´autore. Un´autoanalisi attentissima e minuziosa in un´epoca in cui la psicoanalisi freudiana si era da tempo imposta come terapia psichica ma anche come racconto della psiche e delle sue deformazioni, incidendo profondamente sulla cultura novecentesca.
L´approccio di Proust non ha però debiti particolari nei confronti di Freud, procede in parallelo con mezzi propri e con uno strumento del quale ha assoluta padronanza: la letteratura, il romanzo.
Il viaggio di Proust dentro il "sé" proustiano ha come punto di partenza l´amore verso la madre, che si delinea nella casa di campagna di Combray e che si esprime attraverso un´assillante gelosia, in un complesso di continuo abbandono e in un desiderio inappagabile di possesso edipico.
L´autore ricorda più volte nel libro che ora avete in mano quell´amore morboso verso la madre, quella gelosia che gli serra l´anima e quel desiderio di possesso. Solo che qui non è la madre l´oggetto di questa nevrosi ma Albertine, uno dei personaggi femminili più sfuggenti di tutta la Recherche, che Marcel incontra a Balbec, un paese sulla costa della Normandia, insieme alla brigata delle jeunes filles an fleur che nella realtà erano un gruppo di ragazzi adolescenti, alcuni dei quali omosessuali.
Tutto il racconto che ha Albertine come personaggio centrale e che culminerà poi nella sua morte, va dunque letto tenendo presente che l´amore geloso e il desiderio di esclusivo possesso di Marcel dà fattezze femminili a un personaggio reale maschile e ai suoi amici omosessuali. Dico questo per segnalare l´ambiguità del testo e il fascino che quell´ambiguità emana.

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