sabato 6 agosto 2011

l’Unità 6.8.11
Retate e sequestri nelle ultime settimane a Stoccarda e in altri centri negli ambienti neonazi
I conservatori colgono il clima e chiedono più controlli sui siti e intercettazioni telefoniche
In Germania, sindrome Oslo
Ora è l’ultradestra a far paura
È la sindrome di Oslo, la paura verso il nemico interno che si è fatta densa in Germania. Sotto osservazione i gruppuscoli neonazisti e anche il partito dell’estrema destra Npd. In aumento i crimini politici.
di Laura Lucchini

La Germania osserva con preoccupazione i movimenti dell’estrema destra, in particolare quella violenta, due settimane dopo gli attentati di Oslo e Utoya. Mentre il partito neonazista Npd tappezza Berlino di cartelloni elettorali che incitano all’odio contro gli stranieri, i dati della polizia confermano un numero alto di crimini politici in tutto il Paese nei primi mesi dell’anno. Ancora una volta è l’estrema destra a fare da capolista.
In totale sono stati commessi 11.148 delitti con motivazione politica in Germania nella prima metà di quest’anno. Non sono dati definitivi, ma un resoconto parziale che la polizia ha presentato ai partiti e che è diventato notizia ieri dopo essere stato pubblicato dal quotidiano berlinese Tagesspiegel. Si tratta in particolare di atti vandalici, incendi dolosi, apologia del nazismo, violenze fisiche e due attentati mortali (è il caso di un fanatico musulmano che ha agito da solo uccidendo due soldati americani a Francoforte).
TRISTE PRIMATO
Il triste primato va ancora una volta, come da anni ormai, ai neonazi e ad altri delinquenti di destra, con 6.433 crimini, tra cui 314 atti violenti. Quasi il doppio di quelli commessi dai movimenti di estrema sinistra, che comunque ammontano a 3.381. Molti meno i delitti con movente politico commessi per mano di stranieri, tra cui si contano anche quelli di stampo islamico, che furono in totale 359.
Dopo mesi in cui il governo aveva lanciato un allarme contro possibili attacchi terroristi, di stampo religioso, che portò addirittura alla chiusura della cupola del Reichstag ai turisti per tutto il periodo natalizio e fino alla scorsa primavera, ora cresce ogni giorno la sensazione che il nemico sia in casa, così come in Norvegia, ma con l’aggravante che l’estrema destra è in Germania un problema endemico e non certo un fatto isolato.
Che il livello di tensione è alto lo ha confermato la scorsa settimana un’ampia operazione della polizia a cui hanno preso parte 140 agenti e che ha portato all’arresto di 18 persone tra i 17 e i 49 anni, sospettate di aver dato vita ad una associazione segreta di estrema destra con fini violenti, la Standarte Würrtenberg, fondata appunto nella regione di Stoccarda. Prova di questo sarebbero le armi sequestrate: una pistola Mauser con 100 munizioni, fucili ad aria compressa modificati e coltelli. La retata non aveva alcun nesso diretto con gli attentati di Oslo. Non ci sono nemmeno prove che il gruppo pianificasse azioni violente a breve termine. Non c’è dubbio però che la tragedia andata in scena nella vicina e stimata Norvegia abbia schiacciato l’acceleratore su una serie di indagini che prendono di mira i movimenti dell’ultra destra. Il ministro degli Interni, il conservatore bavarese Hans Peter Friedrich, che nei mesi passati aveva dichiarato che la violenza di destra non era superiore o più preoccupante di quella di estrema sinistra, ha dovuto fare un passo indietro la scorsa settimana. Friedrich ha detto che non si possono escludere in Germania attentati come quelli di Oslo, si è poi detto «particolarmente preoccupato per il gruppo degli Autonomi Nazionali», un movimento di destra violento che cresce rapidamente e conta già un migliaio di membri.
Secondo l’Ufficio Federale per la Protezione della Costituzione, nel 2010 in Germania sono state registrate 219 associazioni di estrema destra illegali per un totale di 25.000 simpatizzanti, di cui circa 9.500 potenzialmente violenti. Si tratta però di movimenti illegali la cui vera estensione è incerta. Accanto a questi c’è l’estrema destra legale, il cui organo principale è l’Npd, un partito che alle ultime elezioni politiche ha raccolto 770.000 voti, pari all’1,8% della popolazione. L’Npd non ha fatto che crescere dalla sua fondazione (tranne alcuni cali di voti isolati) e nonostante non sia mai riuscito ad entrare nel parlamento federale, ha però potuto piazzare alcuni dei suoi membri nelle giunte comunali e anche nei parlamenti di alcuni stati federati. Governi successivi hanno provato a farlo dichiarare anti costituzionale senza riuscirci.
L’NPD FUORILEGGE
I politici offrono ricette diverse per far fronte a questa situazione. Secondo Andrea Nahles, segretaria generale del partito socialdemocratico Spd, «sono necessari più agenti di polizia che controllano i movimenti in Internet dell’estrema destra». Nahles, così come altri esponenti di spicco dell’Spd ad esempio il sindaco di Berlino Klaus Wowereit ieri su l’Unità -, ha rinnovato un appello per l’esclusione dell’Npd dallo spettro dei partiti democratici.
Secondo il ministro degli Interni conservatore, «bisogna tener presente che un simile processo di esclusione potrebbe implicare rischi considerevoli». Ciononostante il suo ministero ha creato un gruppo di indagine per valutare se esistono i parametri legali per iniziare un processo di questo tipo. I conservatori di Cdu e Csu hanno colto l’occasione per tirare fuori dal cassetto una proposta di legge a loro molto cara, che riguarda la raccolta e immagazzinamento di dati preventivo attraverso Internet e telefono, di persone sospettate di aver commesso o pianificato crimini. Tanto i Verdi che la Linke, la sinistra, hanno accusato la proposta di «cinismo» e «opportunismo».

l’Unità 6.8.11
Jorge Amado, confesso che ho vissuto
Dieci anni fa moriva il grande scrittore brasiliano Aveva 89 anni. Indimenticabili le sue storie di pescatori, braccianti, prostitute e fazendeiros Militò nel Partito comunista, arrestato ed esiliato
di Riccardo De Gennaro

Sono trascorsi dieci anni dalla morte di Jorge Amado, che ci ha lasciato il 6 agosto 2001, quattro giorni prima di compiere 89 anni. Al contrario di scrittori molto più osannati di lui dalla critica, il «cantore di Bahia» non è stato dimenticato. Tutt’altro. Era uno scrittore popolare nel senso migliore del termine. Scriveva per il divertimento del popolo ed era vicino al popolo: «La mia creazione letteraria deriva dall’intimità, dalla complicità con il popolo», disse. «Uno scrittore che si rispetti non scrive per ottenere premi, ma per comunicare, esprimersi e riflettere, considerare, capire, ricreare la vita, aiutare l’uomo». Si definiva egli stesso «un trovatore popolare e popolaresco, un infiltrato nel mondo delle lettere, uno scribacchino di feuilleton». Era consapevole dei suoi limiti stilistici, ma non lo considerava un problema: «Nessuno dei miei detrattori conosce i miei limiti di scrittore come li conosco io». Quello che contava per lui – aveva scoperto la letteratura con Alexandre Dumas, Walter Scott e Dickens – era la storia, anzi una moltitudine di storie, che alla fine formavano un grande affresco dove si mescolavano l’epico e il picaresco: storie di pescatori, braccianti, prostitute, avventurieri, «sante», fazendeiros. Voleva farsi leggere da tutti: la «leggibilità», che a un certo punto nel Novecento parve diventare un disonore per uno scrittore, per lui era motivo di vanto.
IL PRIMO SUCCESSO
Amado conobbe il successo fin dal primo libro, Il Paese del carnevale, pubblicato a soli 19 anni, nel ’31, con i soldi prestatigli dal padre Joao, un proprietario terriero che coltivava il cacao. E proprio alla miseria e allo sfruttamento dei lavoratori delle piantagioni di cacao è dedicato il secondo romanzo, intitolato Cacao, appunto. «Romanzo proletario» era il sottotitolo, che ne annunciava il segno realista, privo di qualsiasi concessione esotica: «Nessuno protestava. Tutto andava bene. Vivevamo fuori dal mondo e la nostra miseria non interessava nessuno. Si viveva per vivere». Dopo viene Sudore, la conferma che alla sua formazione di scrittore contribuisce fortemente la militanza nel Partito comunista brasiliano. Questa sua attenzione per il mondo degli umili e dei diseredati (nel 1954 pubblicherà I sotterranei della libertà, una storia in tre volumi delle lotte del Pc brasiliano), il suo incessante impegno a favore della giustizia sociale, la sua grande popolarità gli permettono di ottenere il maggior numero di preferenze tra i deputati dello stato di Bahia eletti nel gennaio del ’46 al Parlamento federale, che avrebbe varato la Costituzione. L’esperienza dura soltanto due anni, perché nel 1948 il Partito comunista brasiliano viene dichiarato fuorilegge.
Amado, che era già stato arrestato nel ’36 per motivi politici («mi accusarono di voler organizzare l’insurrezione degli indios dell’Amazzonia»), si rifugia prima a Parigi, dove fa amicizia con Picasso, poi in Cecoslovacchia. Nel 1951 vince il Premio internazionale Stalin per la Pace, un riconoscimento di cui andrà sempre orgoglioso, anche quando Kruscev gli chiederà di restituire medaglia e diploma per sostituirli con quelli del nuovo e retroattivo Premio Lenin. Nella prima metà degli anni Cinquanta, Amado viaggia in tutti i paesi comunisti come rappresentante del Pcb. A chi gli chiede di descrivergli il Brasile risponde spesso con una battuta: «È un Paese surrealista». Il suo rapporto con Mosca ha bruscamente termine nel 1956 in seguito all’invasione dell’Ungheria. È amico di Anna Seghers, Paul Eluard, Louis Aragon, Ilya Ehrenburg, che continuano a credere nel comunismo anche dopo la denuncia dell’orrore staliniano, ma la sua delusione è talmente grande da spingerlo ad abbandonare la militanza politica e dedicarsi interamente alla letteratura.
Gabriella garofano e cannella è il romanzo della svolta. Il realismo «socialista» diventa realismo «magico», la denuncia sociale permane ma le storie si tingono di fiabesco e affondano le loro radici un passato quasi mitologico. A Dickens e Scott si affiancano Rabelais e Cervantes. Il nuovo romanzo oltrepassa le centomila copie vendute in Brasile e, tradotto negli anni successivi in una cinquantina di Paesi, lo consacra a livello internazionale. In Italia il libro trarrà beneficio del successo di Cent’anni di solitudine del suo grande amico Garcia Marquez, che nel 1968 aprirà le porte della letteratura latino-americana al grande pubblico. Gabriella, o per meglio dire Gabriela, donna sensuale ed estremamente libera in amore, sarà la prima di una serie di fortunate eroine. Dopo di lei verranno Dona Flor, Teresa Batista, Tieta de Agreste, Zezinha di Tocaia Grande, la sua Macondo. Mogli, amanti, puttane. Donne.
Uno degli ultimi libri di Amado, Navigazione di cabotaggio, contiene «gli appunti per un libro di memorie che non scriverò mai». Avrebbe potuto intitolarlo Confesso che ho vissuto, ma l’idea l’aveva già avuta il suo amico Neruda. Tra i tanti episodi della sua vita, Amado ricorda il giorno in cui conobbe Togliatti, a Roma, nella redazione dell’Unità. Era l’anno 1948 e in Italia si tenevano le elezioni. Come altri giornalisti e intellettuali stranieri Jorge era stato incaricato di seguire i risultati elettorali. C’era la diffusa convinzione che il Pci avrebbe vinto. Come sappiamo, non andò così: «I comunisti persero le elezioni, i democristiani si mantennero al potere», ma «la sconfitta non limitò i festeggiamenti, alla riunione in casa di Guttuso c’era mezzo mondo, da Moravia a Zavattini, da Carlo Levi a De Santis, da Emilio Sereni a Giancarlo Pajetta, senza parlare di alcune contesse ferventi comuniste. La mia raccolta di amicizie iniziò a Roma e proseguì a Firenze con Vasco Pratolini e a Milano con Elio Vittorini».
I SUOI FIGLI
La sua longevità lo costrinse ben presto a non avere più padri, ma soltanto figli. Uno era il regista, suo conterraneo, Glauber Rocha, che nel suo primo lungometraggio, Barravento (1962), raccontò la miseria e la fatica dei pescatori del litorale di Bahia. Nei suoi «appunti», Amado parla del ricovero in ospedale di Rocha, nell’agosto 1981 a Lisbona, malato di tumore ai polmoni: «Ci misi un anno a riprendermi da quel mese atroce passato in ospedale accanto a Glauber morente: con gli occhi fuori dalle orbite si sforzava di resistere, bramoso di vivere, si attaccava ansiosamente agli ultimi giorni che gli restavano». Glauber aveva soltanto 42 anni. Autore di 21 romanzi più una valanga di racconti, Jorge Amado non ha fatto altro che scrivere il medesimo libro: «Posso lavorare soltanto sulla realtà che ho vissuto personalmente, è per questo che gli argomenti dei miei libri si limitano a essere le sconfinate terre del cacao e la vita del popolo di Bahia. Mi muovo attorno a questi due temi, ripropongo scenari, personaggi ed emozioni sempre uguali», ha spiegato. Era quello che i suoi lettori volevano. Può continuare a riposare tranquillo, sarà ricordato anche tra cent’anni.

l’Unità 6.8.11
Etiopia, gli orrori dell’Italia di Mussolini
«Inconscio italiano» Presentato fuori concorso al Festival di Locarno il documentario di Luca Guadagnino: è un’indagine sulle radici razziste del nostro popolo. Il regista: «Si tratta di qualcosa che ritorna, come un’eco»
di Paolo Calcagno

A scavare nell’Inconscio Italiano si scoprono le radici del razzismo del nostro popolo, che in buona parte risalgono al passato colonialista del regime fascista e che, a causa di una lunga e pigra rimozione, hanno esteso le loro metastasi sino all’identità italiana del nostro tempo. A spiegarci quest’odioso quanto verosimile fenomeno è il regista e produttore Luca Guadagnino, in giuria al Festival del Cinema di Locarno e autore del documentario (ma lui preferisce definirlo «film-saggio») in bianco e nero Inconscio Italiano, presentato fuori concorso alla rassegna svizzera del «Pardo d’oro».
Guadagnino, 40 anni, siciliano di nascita e con l’infanzia trascorsa in buona parte ad Addis Abeba, dopo aver messo il dito nella piaga del conformismo e delle ipocrisie della borghesia italiana con il fortunato film Io sono l’amore (2009), realizzato 4 anni dopo il successo di Melissa P., stavolta, si rivolge alla forma del documentario per indagare su una certa identità italiana partendo dall’occupazione dell’Etiopia, fermamente voluta dal Benito Mussolini.
«Il mio legame forte con l’Etiopia mi ha spinto a realizzare questo lavoro le cui finalità vanno oltre la natura storica per sottolineare qualcosa che ritorna come un’eco: è una linea unica che continua, si evolve, ma non troppo», ha commentato Guadagnino che ha affidato la parte esecutiva del suo documentario allo sceneggiatore Giuppy d’Aura e al montatore Ferdinando Cito Filomarino.
Inconscio Italiano è costituito da due parti, la prima (di circa un’ora) comprende le analisi, ma in qualche caso anche le diagnosi, di 6 studiosi: gli storici Angelo del Boca e Lucia Ceci, gli antropologi Iain Chambers e Michela Fusaschi, i filosofi Alberto Bugio e Ida Dominijanni; la seconda parte, che si sviluppa senza dialogo sulle note di Harmonium di John Adams, dura 32 minuti e raggruppa immagini d’archivio dell’Istituto Luce, della Bbc inglese e dei cinegiornali russi dell’epoca. Vediamo le truppe italiane, guidate dai generali Graziani e Badoglio, alla conquista dell’Etiopia, gli aerei sgan-
ciare circa 500 mila tonnellate di bombe con il gas, gli effetti di sterminio su truppe e popolazione locale: «Furono circa 400mila i morti, di cui 100mila tra i civili – ricorda del Boca -. Un massacro che fu compiuto con il consenso totale degli italiani».
Le feroci rappresaglie del regime fascista si spinsero fino alle vili eliminazioni di migliaia di monaci etiopici di religione cristiana, che ebbero il torto di non condannare un paio di attentati, peraltro abortiti. C’è il ringhio di Graziani che comunica la sua soddisfazione al Duce che non era mai andato in Etiopia e che, tuttavia, aveva personalmente «guidato» a distanza la spedizione colonizzatrice; c’è il Papa Pio XII, citato quale «elemento di forte propulsione all’azione bellica»; e c’è persino il matrimonio in pompa magna, ad Addis Abeba, della figlia del generale Graziani.
«Abbiamo selezionato il nostro montaggio da ore e ore di filmati – ha spiegato Guadagnino -, stando attenti a destrutturare quei materiali che erano stati realizzati a chiari fini di propaganda di regime e, nel caso delle pellicole inglesi e russe, di critica al fascismo. Il risultato ci ha svelato immagini di puro Cinema su quanto era accaduto in Etiopia.
Quanto alla forma delle due parti staccate del filmato, è stata una scelta netta, come in delle sinassi abbiamo voluto separare i pensieri dalle immagini: sono sempre stato affascinato dai film composti da due metà, di cui una quasi senza dialogo, come Full Metal Racket, di Kubrick. Ho guardato molto anche i film di Abba Gherima, Adua e vari altri, dove si racconta l’invasione dal punto di vista degli etiopici».
Inconscio Italiano è stato realizzato con riprese da Canon 5D, è costato intorno ai 30mila euro e verrà presentato anche al Festival di Torino. «Non abbiamo accordi con reti tv – ha precisato Guadagnino, che si prepara a girare un nuovo “doc” su Bernardo Bertolucci -. Il piccolo budget del filmato ci ha consentito di produrlo senza l’assillo della committenza. Io credo nel mercato del documentario e, magari in dvd, spero in una distribuzione autonoma. Per fortuna, il pubblico è più avanti del sistema che, invece, è stupido. Intanto, come produttore, lunedì, in Toscana, darò il via alle riprese de I Padroni di Casa, con e di Edoardo Gabbriellini. Il cast è super: Elio Germano, Valerio Mastandrea e Valeria Bruni Tedeschi, oltre a Gianni Morandi che farà il suo ritorno sul grande schermo. Sto anche lavorando al mio nuovo lungometraggio, sto parlando molto con gli americani: sarà un film interamente “a stelle e strisce”».

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