sabato 13 agosto 2011

l’Unità 13.8.11
67 anni fa nell’alta Versilia furono trucidate più di cinquecento persone, molte ancora senza nome
Strage di Sant’Anna di Stazzema
Non ci sono i 50mila euro che una legge dello Stato ogni anno assicura al Comune di Stazzema per promuovere attività che servono a tenere vivo il ricordo. Il sottosegretario Giro: «Non c’è più la copertura finanziaria».
di Mariagrazia Gerina

Enio Mancini era un bambino di sei anni: «In una casa, sventrata dal fuoco, su una trave che ancora ardeva c’era la rete di un letto e sopra tre corpi quasi consumati. Uno era piccolo, il corpo di un bambino...». Lina Antonucci di anni ne aveva nove: «Io ero sotto i morti, mi riprese Mauro, mi ritirò per i capelli, vedeva che non mi muovevo». Enrico Pieri aveva dieci anni: «Ci fecero uscire di casa e ci portarono in quella dei Pierotti, ci fecero entrare in cucina e mentre noi entravamo loro sparavano».
Sessantasette anni dopo, loro, i bambini sopravvissuti alla strage di Sant’Anna di Stazzema, ormai fatti vecchi, nonostante l’età, non si stancano di raccontare l’orrore di un intero paese, il loro, trucidato dai nazisti, casa per casa. 12 agosto 1944, più di cinquecento morti ammazzati, molti ancora senza nome. Uomini, donne, bambini. La più piccola, Anna Pardini, aveva appena venti giorni. C’erano anche le sue sorelle ieri, insieme a Enrico, Enio, Lina, circondati dalle autorità, davanti all’ossario, in cima al Parco della Pace, il luogo deputato a conservare per sempre, anche quando loro non ci saranno, la memoria di ciò che accadde sotto i loro occhi, sulla loro pelle. Così è scritto nella legge, che lo istituisce (381, 11 dicembre 2000).
Accade però che il governo si sia dimenticato di Sant’Anna, di Enio, Enrico, Lina, degli oltre 500 morti, del parco, visitato ogni anno da circa quarantamila ragazzi. E dei 50mila euro l’anno che quella legge dello stato impegna a versare al Comune di Stazzema per promuovere tutte le attività, compresa la commemorazione di ieri, che servono a tenere vivo il ricordo.
«Non è un caso, accadde già durante l’altro governo Berlusconi, è che a loro della memoria non interessa niente», scuote le spalle Enrico Pieri, aspettando che qualcuno gli racconti come va a finire 67 anni questa brutta storia.
LA DIMENTICANZA
«Quella legge purtroppo è inefficace, non ha più copertura finanziaria», si schermisce il sottosegretario ai Beni Culturali Francesco Giro, a cui chiediamo conto di quei 50mila euro che per il secondo anno il suo ministero non ha erogato. «Non possiamo erogarli così. ho verificato: l’ultimo stanziamento risale alla finanziaria del 2007 e valeva per tre anni, è incredibile che sia scaduto senza che nessuno se ne sia accorto, magari quando arriverà in aula la nuova manovra si potrà presentare un emendamento oppure lo inseriremo in un altro provvedimento».
A chiedergli conto di quelle già scarse risorse era stata l’ultima volta dieci giorni fa una piccola delegazione di Sant’Anna, durante gli incontri con le Commissioni Cultura di Camera e Senato organizzati da alcuni deputati del Pd. «Aspetto ancora che mi chiami», replica il sindaco Michele Silicani, ricordando che il sottosegretario si era impegnato a dare notizia al più preso di quei 50mila euro. Una sua lettera, che dicesse che quei fondi c’erano e il ministero si impegnava ad erogarli, era attesa per l’anniversario della strage. «È un bugiardo se dice che nessuno si era accorto dell’ammanco replica -, lo abbiamo scritto in tutte le salse al ministero. Fu lo stesso Bondi a rassicurarci che le risorse c’erano e ci sarebbero state erogate. Entro settembre pretendiamo un impegno formale: dobbiamo approvare il consuntivo, altrimenti ricorreremo contro lo stato».
Di quell’incontro con Bondi si ricordano molto bene Walter Verini e Raffaella Mariani, che sul mancato finanziamento del Parco della Pace hanno presentato anche una interrogazione parlamentare. Tutt’ora senza risposta. «A questo punto mi sembra che sia una questione di volontà politica», replica Verini. «Li abbiamo sollecitati in ogni modo, non possono dire che non sapevano», spiega Mariani: «Se avesse voluto, il ministero avrebbe potuto spostare le risorse da un altro capitolo di spesa. Preferiscono approvare un nuovo provvedimento? Bene, purché sia subito».
I superstiti ormai sono anziani, «presto non potranno più sorrggere loro la memoria«, ricorda Claudia Buratti, pro-nipote di un sopravvissuto, che da giovane avvocato ha seguito l’intero processo che ha portato alla condanna di dieci ufficiali e sottoufficiali nazisti. Sentenza mai eseguita. «Anche quella ora è una questione di volontà politica».

Repubblica 13.8.11
"Mi chiamo Breivik, sto sparando" le telefonate che la polizia ignorò
Nessun intervento e il killer di Oslo proseguì nella strage
di Valeria Fraschetti


Le rivelazioni dell´avvocato dell´attentatore: "Chiamava per arrendersi"
Bufera sulle forze dell´ordine: gli agenti partirono dal molo più lontano

«Pronto, sono il Comandante, Anders Breivik. Mi vorrei costituire». Dall´altro capo del telefono, la polizia. Che però ignora la telefonata. Non una sola volta: due, forse dieci. Se fosse davvero andata così come ora racconta il legale del macellaio di Utoya, la polizia norvegese è davvero nei guai. Perché se c´è un interrogativo che sta tormentando la Norvegia è se un intervento più efficiente avrebbe potuto risparmiare qualche vita. Se lo chiedono i mass-media, i parenti delle 77 vittime delle stragi di Oslo e Utoya. E, soprattutto, è il dubbio che perseguita il governo di centrosinistra e le forze dell´ordine, mentre giorno dopo giorno emergono dettagli che rendono rovente la polemica sull´efficienza delle autorità nel massacro del 22 luglio.
L´ultimo arriva da un´intervista dell´Aftenposten al difensore di Breivik, Gier Lippestad. Il quale racconta come l´estremista che voleva difendere la sua patria dal «multiculturalismo marxista», dopo aver fatto esplodere una bomba nella capitale, abbia telefonato alla polizia 10 volte mentre imbracciando un fucile, una pistola Glock e una mitraglietta trasformava il campo estivo dei giovani laburisti sull´isola in una mattanza. Voleva «arrendersi», spiega l´avvocato. Peccato che sarebbe riuscito ad entrare in contatto con gli agenti solo due volte. Due telefonate in cui avrebbe ricevuto «delle risposte che non capiva» e «chiesto di essere richiamato per accertarsi che avessero compreso la sua volontà di arrendersi». Nell´attesa della telefonata Breivik avrebbe sospeso la sparatoria. Una pausa in cui si è «chiesto se suicidarsi o continuare l´operazione» che lo avrebbe reso «il mostro più grande dalla seconda guerra mondiale», come scrisse nel suo delirante manifesto. Un´interruzione degli spari c´è stata, confermano ora dei sopravvissuti. E la polizia ha ammesso di avere una registrazione che potrebbe essere di Breivik. Solo che la loro telefonata non è mai arrivata: e lui decise di «sparare fino al loro arrivo».
Proprio sulla tempestività dell´intervento si concentra un´altra rivelazione. Della tv pubblica Nrk: le forze speciali arrivarono a oltre un´ora dall´allarme, perché s´imbarcarono su un molo distante quattro chilometri dall´isola, invece che da quello a 670 metri. Una svista madornale o un problema tecnico (la polizia ha spiegato che dal molo più vicino non era possibile imbarcare le forze speciali). Errori come l´arresto di un sopravvissuto sospettato di essere un complice, nella disperazione dei genitori che lo davano per morto. Sarà stato quindi anche per sedare le polemiche sulla polizia che ieri, presentando la commissione di valutazione sulla strage, il premier laburista Stoltenberg ha detto: «Dobbiamo trarre insegnamenti dagli attacchi».

Repubblica 13.8.11Ad Aosta una mostra dedicata all´infanzia nell´opera del grande artista di Berna. Dai primi disegni fatti a quattro anni alle marionette costruite per il figlio Felix
Paul Klee
Dipingere come un bambino la più difficile delle arti


AOSTA. Benché uomo dell´Ottocento, e per di più svizzero tedesco, dunque candidato a una paternità rigida e frigida, Paul Klee era un papà molto tenero. Assiduo, attento, giocoso. Annotava sopra un diario, "Il calendario di Felix", i progressi quotidiani della crescita del figlio. I primi passi. I primi scarabocchi. Le prime parole. «Un solo giorno basta a farci sentire un po´ più grandi. Oppure, un´altra volta, un po´ più piccoli».
Quando a sei anni lo vide illuminarsi di stupore e di gioia a uno spettacolo di burattini, decise di costruirne uno tutto per lui. Fatto di legno. Mentre per le marionette ricorse a un fantasioso ready-made domestico che avrebbe divertito Enrico Baj. Colla, cartapesta, prese elettriche, pennelli da barba, gusci di noce, scatole di fiammiferi. E per gli abiti i ritagli di stoffa da rammendo sfilati dal cassetto della moglie e cuciti a macchina.
La ricostruzione di quel teatrino e di una parte di quelle 50 marionette, anche animate da papà Paul, chiude in allegria la bella mostra "Eiapopeia. L´infanzia nell´opera di Paul Klee" curata da Alberto Fiz al Museo Archeologico Regionale di (fino all´11 settembre, catalogo Mazzotta). Eiapopeia è la parola magica ripetuta come un mantra dalle mamme svizzere tedesche ai figlioletti nell´ora della ninna nanna. La mostra allinea circa 130 opere, tra dipinti, tecniche miste e disegni, datate dal 1883 (Klee ancora bambino) al 1940 (l´anno della morte). Molte mai esposte in Italia, arrivano in gran parte dal Zentrum Paul Klee di Berna (una collina artificiale di vetro e acciaio alzata da Renzo Piano alle porte della città), oltre che da collezioni pubbliche e private, come il Museo del Territorio Biellese, da dove sbuca l´inedita "Espressione di un volto" del 1939. Arricchiscono la visita due efficaci documentari e quattro splendidi cortometraggi dei fratelli Lumiére dedicati all´infanzia.
È il 1902 quando Klee, a 23 anni, reduce da un viaggio in Italia dove ha subito "una sorta di umiliazione" nel confronto con i giganti dell´arte classica e rinascimentale, riscopre una raccolta di suoi disegni infantili che la sorella Mathilde aveva conservato nella soffitta della casa natale di Berna. Il ritrovamento accende la fantasia, sollecita la riflessione, suggerisce un´altra strada da battere per superare i condizionamenti dell´antico e gli stereotipi dell´accademia nel segno di un´arte nuova, antinaturalistica, più libera, genuina, autonoma, incorrotta. Un´arte in cui «il modello lascia il posto all´archetipo». E «la forma non è conclusione, risultato, fine, bensì genesi, divenire, essenza».
«La finalità pratica è estranea al bambino, che vede tutto con gli occhi non assuefatti» – scriverà in quegli anni Kandinsky, collezionista con la compagna di disegni infantili, una delle più limpide fonti delle avanguardie, così come l´arte, anch´essa senza regole e senza tempo, dei popoli primitivi.
Occhio però che Klee non è un artista naif. Né, come polemizza Fiz, uno dei tanti improbabili Peter Pan contemporanei che «svuotano nei musei la grande cesta dei giochi con un´infinità di feticci avariati stracolmi di incertezze e paure». Piuttosto è un concettuale, che ritorna al futuro dell´infanzia con sofisticata consapevolezza intellettuale e tecnica. «Se nella mia pittura si ha a volte l´impressione di primitività, questo si spiega con la mia disciplina, che impone la riduzione a pochi registri. Si tratta di parsimonia. Di estrema pazienza professionale». Quando i «signori critici» paragonano i suoi quadri a scarabocchi e sgorbi infantili (i "disegni dello scemo del villaggio" titola un giornale), lui replica: «Se vi somigliassero davvero! I quadri che ha dipinto il mio piccolo Felix sono migliori dei miei, che spesso sono impregnati di cervello».
Paul non ha ancora compiuto quattro anni quando disegna il Bambin Gesù senza ali che apre il percorso. «L´uomo – rifletterà da adulto – è per metà prigioniero e per metà alato. Ognuna delle due parti in cui è lacerato il suo essere, accorgendosi dell´altra, prende coscienza della propria tragica incompiutezza». La mostra, che ha per testimonial una Bambola snodata del 1939, sorprende sotto molti punti di vista. La molteplicità dei soggetti: maschere, ritratti, giocattoli, nudi, paesaggi, animali, angeli e "satanelli", e le caricature ispirate ai ghirigori visti sui tavoli di marmo della trattoria di uno zio. La libertà del colore: il viola di Alberi in ottobre, l´azzurro dei Tre bambini in giardino. La surreale fantasia dei titoli, a volte lunghi come un film della Wertmuller: Quattro nudi dall´espressione vagamente religiosa, tre adulti e un bambino. La varietà degli esiti formali, che invita al gioco dei confronti. Nella Ninfa degli stagni intravedi Mirò, la Signorina demoniaca è fidanzata con Picasso, il Nudo sul letto possiede la forza plastica di Moore, San Francesco davanti alla propria morte suscita emozioni barocche, il Tronco nodoso fa pensare a Magritte, Ecco la carretta richiesta anticipa il graffitismo dei giovani divi della street art Basquiat e Haring.
Tra i disegni più toccanti, spicca Angelo nel giardino d´infanzia, che riprende, alla vigilia della morte, quando Klee è immobilizzato da una malattia alle ossa, uno dei suoi soggetti più cari. L´angelo, che come il bambino è capace di libertà e stupore e abita tra la terra e il cielo, il visibile e l´invisibile. Recita l´epitaffio scolpito sulla tomba di Klee: «Nell´aldiquà non mi si può afferrare. Ho la mia dimora tanto tra i morti quanto tra i non nati. Più vicino del consueto al cuore della creazione, ma non ancora abbastanza vicino».

Repubblica 13.8.11
Il politologo David Hine: "Cresce il gap tra ricchi e poveri e il controllo dei genitori sui figli è inesistente"
"Non c´è più coesione sociale e i giovani sono preda delle gang"
"C´è il rischio che una conseguenza della rivolta sia un ritorno alla destra xenofoba"
di Enrico Franceschini


LONDRA - La rivolta urbana che ha sconvolto l´Inghilterra è la conseguenza di uno sfacelo sociale senza uguali in Europa: famiglie con un solo genitore, gravidanze minorili, figli senza controllo, baby gang come unica via di affermazione e identità. È questa la tesi di David Hine, docente di scienze politiche all´università di Oxford, dove ha avuto tra i suoi allievi David Cameron, l´attuale premier britannico, e David Miliband, leader dell´opposizione laburista. «Più di ogni altra società europea, il Regno Unito è affetto da una mancanza di controlli e di reti di sicurezza che ne fanno il paese più simile all´America sul vecchio continente e che preparano il terreno per esplosioni di rabbia urbana come quella a cui abbiamo assistito», dice l´eminente politologo a Repubblica.
Professor Hine, perché le violenze sono scoppiate proprio ora e proprio in Inghilterra?
«Ci sono ragioni economiche che valgono per tutti i Paesi occidentali, per cui la rivolta poteva scoppiare altrove e non escludo che accada. Ma è probabile che sia cominciata qui per almeno due motivi. Il gap ricchi-poveri è più ampio in Gran Bretagna che in ogni altra nazione europea. E la coesione sociale è più debole. Siamo la nazione europea col maggior numero di gravidanze minorili, di famiglie rette da un solo genitore, di criminalità giovanile, di detenuti in rapporto alla popolazione. Da noi il controllo sociale sui figli, specie in città e quartieri disagiati, è inesistente. Impedire ai figli di finire in strada, preda del richiamo delle gang giovanili o dei comportamenti anti-sociali, dall´ubriachezza ai graffiti, è praticamente impossibile».
È un problema sociale o un problema criminale, come lo definisce il premier Cameron?
«È un problema di ordine pubblico: la maggioranza della popolazione voleva che le autorità ripristinassero la calma. In molti quartieri la gente era pronta a riportare l´ordine con le proprie mani, in assenza della polizia. Se da un lato ciò è comprensibile, c´è il rischio che una conseguenza della rivolta sia un ritorno dello squadrismo, della destra radicale oltranzista e xenofoba, delle tensioni etniche fra comunità e comunità, minacciando quella cultura multirazziale per due decenni il simbolo dell´Inghilterra».
E il problema sociale non interessa a nessuno?
«Interessa a molti, compreso il primo ministro, che ha ammesso che la presenza di migliaia di giovani pronti a incendiare e saccheggiare è una questione su cui riflettere. Ma è probabile che il dibattito sulle cause sociali si spegnerà una volta scomparso il problema di ordine pubblico. È un peccato perché questa rivolta ha esposto punti di estrema fragilità nella società britannica. Ma la politica ha spesso occhi solo per il presente, tanto più oggi quando è messa in ginocchio dalla crisi economica».
 

Nessun commento:

Posta un commento