domenica 1 agosto 2010
l’Unità 1.8.10
Sanità, Vendola scrive a Napolitano Nuovo scontro con il governo
di Bianca Di Giovanni
Ancora scintille tra il governatore e il ministro Fitto. Domani attesa la decisione sullo sblocco del piano di rientro. Tutti i numeri della Puglia: ecco come mai Bari è chiamata a rientrare, nonostante conti sanitari in equilibrio.
Nuovo duello a distanza tra la Puglia e il governo centrale, in attesa dello sblocco (domani?) da parte del Tesoro del piano di rientro sanitario. Nichi Vendola usa parole di fuoco contro chi (Giulio Tremonti in testa) ha messo in atto «un attacco proditorio alla Puglia, ispirato da quei traditori della patria che pensano di poter lacerare il tessuto economico-sociale pugliese». Per spiegare le sue ragioni il governatore ha preso carta e penna e ha informato il presidente Giorgio Napolitano, Vasco Errani e Silvio Berlusconi. Sull’altro fronte scende in campo Raffaele Fitto, che denuncia il ripetuto sforamento del patto di stabilità da parte della Regione (anche la sua), con la conseguente formazione di un debito di 1 miliardo e 200 milioni di euro in tre anni.
NUMERI
Slogan mediatici, o c’è la sostanza dei numeri dietro lo stop al piano di Tremonti? Vediamo. Innanzitutto va detto che la Puglia non ha sforato i conti sanitari, ma quelli della Regione, cioè non ha rispettato il patto di stabilità interno. Siccome per legge tra bilancio regionale e bilancio sanitario scatta un blocco incrociato (se si sfora l’uno, si blocca l’altro), ecco che la Regione è stata chiamata a presentare un piano di riento sanitario. Si è sforato il patto, sostiene Vendola, perché altrimenti non si sarebbe potuto cofinanziare il fondo europeo, legato anche a un’erogazione regionale. Insomma, per non perdere soldi europei, se ne sono spesi di più del dovuto (meccanismo infernale, che funzionava prima anche per i Comuni, i quali hanno ottenuto di escludere dal computo del patto di stabilità le spese per investimenti virtuosi). Di qui la penalizzazione effettuata sulla sanità, che ora va rimessa in sesto con il varo del piano, precondizione per far giungere a Bari i 500 milioni bloccati a Roma da Tremonti.
Quanto alla sanità, fino al 2009 è stata in equilibrio grazie a due addizionali sull’Irpef e sulla benzina (imposte per due annualità) e a risorse proprie della Regione, con un contributo di circa 350 milioni all’anno. Equilibrio faticoso da mantenere, perché la Puglia contesta da sempre il metodo con cui viene erogato il fondo nazionale, tutto a vantaggio delle Regioni con popolazione più vecchia. Ogni pugliese riceve dallo Stato 1.669 euro, contro i 1.793 ricevuti dalla Liguria. «Oltre al criterio della popolazione anziana spiega l’assessore Tommaso Fiore dovrebbero essercene anche altri. Per esempio l’immigrazione di passaggio, che dobbiamo pagarci da soli».
Quest’anno si è disegnato un piano di rientro che non prevede addizionali. Tale piano ha passato il vaglio degli uffici tecnici. Durante le «trattative» Tremonti ha chiesto alla Regione di sospendere una legge regionale che punta a internalizzare i lavoratori esterni delle Asl, che sono circa 5mila. Finora ne sono stati internalizzati circa 700. Il governatore ha proposto di aprire un tavolo per valutare quali punti di quella legge fossero davvero antieconomici, visto che per lui l’internalizzazione corrisponde a un risparmio di spesa (per esempio non si paga l’Iva), e per il Tesoro al contrario. Ma Tremonti non ha accettato. Domani in consiglio dei minsitri si capirà se il teatrino è finito.
Corriere della Sera 1.8.10
25 Le condanne inflitte dalla Corte d' appello il 18 maggio scorso
Genova Il G8 del 2001 e la condanna agli alti funzionari presenti al blitz
«Diaz, i vertici della polizia non fermarono le violenze»
Il verdetto d' appello: videro ma non imposero lo stop
di Erika Dellacasa
Le tappe 1 2 Il blitz nell' edificio e i manifestanti feriti 3 La notte del 21 luglio 2001, durante il G8 di Genova, 200 agenti irrompono nella scuola Diaz, dove dormono un centinaio di manifestanti. Molti saranno picchiati, una sessantina i feriti 4 L' inchiesta e il primo grado I poliziotti imputati saranno 28. La sentenza di 1° grado è di fine 2008: tra i condannati l' ex comandante del reparto mobile di Roma Canterini (4 anni) e alcuni suoi sottoposti Il secondo grado e le nuove condanne Il 18 maggio scorso la terza sezione della Corte d' appello di Genova ha condannato tutti i vertici della catena di comando della polizia, assolti nel precedente giudizio Il ruolo di De Gennaro e le dimissioni respinte Gianni De Gennaro è stato condannato in appello per aver spinto il questore Colucci a mentire sulla Diaz. Il governo ha respinto le sue dimissioni da responsabile dei Servizi
GENOVA - I vertici della polizia presenti alla scuola Diaz nella notte del 21 luglio 2001 a Genova erano consapevoli della «ingiustificata violenza» usata dagli agenti contro persone inermi. Tuttavia non solo non intervennero per fermare e soprattutto sanzionare chi commetteva abusi, ma si preoccuparono di falsificare i fatti per costruire una giustificazione alla «macelleria messicana». La motivazione della sentenza sui fatti della Diaz - con la quale la Corte d' appello di Genova presieduta da Salvatore Sinagra ha condannato nel maggio scorso 25 fra alti dirigenti e agenti di polizia - accusa in 310 pagine l' esecuzione violenta della perquisizione e punta il dito contro i vertici, assolti in primo grado. Colpevole e condannato a 4 anni l' allora capo dello Sco Francesco Gratteri (oggi capo dell' antiterrorismo), colpevole e condannato a 4 anni l' allora vice Ucigos Giovanni Luperi (oggi responsabile dell' intelligence), le cui dichiarazioni - come imputati - al processo d' appello vengono definite tout court false. «Hanno cercato di sminuire i loro ruoli e funzioni - scrive la Corte - ma sono stati smentiti dalle molteplici circostanze emerse nel processo». «Le loro condotte - è scritto - hanno costituito concorso morale nella redazione di atti falsi, avendo istigato, suggerito e rafforzato l' intento delittuoso dei sottoscrittori dei verbali» anche se sotto quei verbali non c' è la firma dei dirigenti. Quanto alla vicenda delle false molotov, repertate per accusare i no global, la Corte dettaglia il «conciliabolo» tra Luperi, l' ex capo della Digos Spartaco Mortola e altri, per evidenziare come tutti fossero consapevoli dell' uso che delle molotov si voleva fare. Tutto con l' intento di coprire quella che viene definita «un' irruzione disastrosa» attraverso «false accuse idonee a giustificare arresti e violenze». Da qui le accuse ai no global di aver fatto una resistenza violenta (che non ci fu), le false molotov nella scuola, la falsa coltellata all' agente Nocera, i referti medici sollecitati da Gratteri e Canterini per presunte ferite da aggressione ad agenti di polizia (alcuni se le procurarono da soli nell' azione). Inoltre, anche ammettendo - scrive la Corte - che Luperi e Gratteri fossero arrivati dopo i pestaggi, «chiunque avrebbe constatato l' ingiustificato abuso della forza», eppure non intervennero. La Corte li ha quindi condannati in base all' articolo 40 del codice che stabilisce che non impedire un evento che si ha l' obbligo di impedire equivale a cagionarlo. «L' origine di tutta la vicenda - è scritto poi nelle motivazioni depositate ieri - è individuabile nell' espliicita richiesta da parte del capo della polizia Gianni De Gennaro di riscattare l' immagine del corpo e procedere ad arresti». «Certo tale pressione psicologica - continuano i giudici - non giustifica in nulla la commissione di reati». La richiesta portò alla perquisizione alla scuola Diaz le cui modalità - i pestaggi - non furono «né spontanee né motivate dalla stanchezza e dallo stress», ma furono frutto di «calcolata freddezza». Ribaltando l' interpretazione del Tribunale di primo grado la Corte d' appello scrive che il massacro della Diaz non è imputabile a comportamenti di singoli agenti che avevano perso il controllo ma si riconduce a precise responsabilità gerarchiche ed è il risultato di «un uso della forza volto a garantire il maggior numero possibile di arresti». Quanto alle violenze - analizzate caso per caso - la Corte si esprime con parole di condanna molto dure, usando anche il termine «sadismo» a proposito del pestaggio del giornalista inglese Mark Covell. E si sofferma su un particolare: le immagini di un agente che ripone «clandestinamente» alcune mazze nel portabagagli di un' auto privata, sottolineando come questo sia indizio dell' uso di bastoni e mazze da parte della polizia, poi fatti sparire.
Corriere della Sera 1.8.10
Un brano della relazione d' apertura al convegno sul pensatore greco che si inaugura domani a Tokyo
Per favore, non correggete Platone
Sbaglia chi nega la dimensione politica del filosofo ateniese
di Mario Vegetti
Sembra che le tesi recenti sul carattere impolitico della Repubblica di Platone ripetano per l' essenziale, in modo più o meno consapevole, i temi di un vecchio dossier che risale alla metà del secolo scorso. C' è naturalmente qualche nuova analisi testuale e qualche supplemento metodologico, ma gli argomenti principali e le interpretazioni generali seguono la via della confutazione degli argomenti di Karl Popper contro Platone tracciata da Eric Voegelin e da Leo Strauss. Ci si può interrogare sulle ragioni di questo movimento ciclico della vicenda interpretativa. A mio avviso, esso può essere spiegato sulla base del sostanziale fallimento di un' altra linea di difesa di Platone da Popper: quella che tentava di dimostrare che la polemica di Popper mancava il bersaglio perché in effetti Platone non era il progenitore di una cattiva politica totalitaria, ma nutriva simpatie di tipo liberale e addirittura democratico. Questo wishful thinking caritatevole avrebbe risolto il problema, ma purtroppo non era in alcun modo difendibile sulla base dei testi. La questione dell' aspetto politico della Repubblica resta così evidentemente un nervo scoperto, che deve venire periodicamente devitalizzato se non si vuole ricorrere alla sua asportazione chirurgica. Questa strategia va naturalmente discussa in modo analitico sulla base degli argomenti testuali che vengono addotti dai suoi fautori. Ma essa comporta un pericolo più generale, quello di un impoverimento del livello teorico del dibattito interpretativo su Platone e la Repubblica. Questo dibattito dovrebbe misurarsi all' altezza delle sfide poste da Platone al pensiero filosofico e politico, e anche all' altezza delle domande poste a Platone dai suoi critici veri, da Aristotele a George Grote a Popper. Vorrei indicare in modo sommario alcuni dei problemi che si impongono a questo livello della riflessione. a) Un pensiero dell' utopia politica è in qualche misura utile e produttivo, e come è eventualmente possibile controllare i rischi che esso presenta? Quali sono i limiti della desiderabilità e della praticabilità del progetto utopico? Quale può o deve essere il ruolo della filosofia nella politica, e specialmente nella politica dell' utopia? b) Quale tipo di antropologia è implicata dal progetto di perfettibilità utopica, o compatibile con esso? Le resistenze opposte a questo progetto dalla «natura umana» sono da considerare insuperabili, secondo una linea di pensiero che inizia con Aristotele (ma forse anche con il libro VIII della Repubblica e con le Leggi)? c) Quanto ai contenuti dell' utopia della Repubblica: la strana combinazione di élitismo illuministico e di comunitarismo (o comunismo repubblicano) che sta al centro del suo programma è in qualche misura sensata e riconoscibile come una opzione possibile nell' ambito del pensiero politico? Se non è così, per quali ragioni essa risulta insensata o inaccettabile? Credo sia in ogni caso molto meglio seguire la via della confutazione, mostrando, come Aristotele, che si tratta di «cattiva politica», piuttosto che negare che si tratti tout court di politica, perché in questo caso la sola «vera» politica è implicitamente quella ritenuta tale dall' interprete, che si sottrae sia all' impegno di dichiarare le proprie opzioni sia all' onere della critica. d) Insieme con questo tipo di riflessione, resta naturalmente il problema di ricontestualizzare Platone nel suo ambiente storico, politico e culturale. Ad esempio: i rapporti con Aristofane, Tucidide, la letteratura oligarchica dei sofisti e dei socratici; il senso della critica alla democrazia e all' oligarchia, l' atteggiamento ambivalente, di rifiuto e attrazione, verso le tirannidi del IV secolo; il rapporto fra Repubblica, Politico, Leggi e la critica di Aristotele. È chiaro che queste complesse questioni storiografiche possono venire affrontate in modo sensato solo se si riconosce il carattere politico della Repubblica. La Repubblica è dunque un dialogo politico, un dialogo in cui Platone espone le sue «impressionanti idee in fatto di filosofia politica». Si possono condividere o rifiutare queste idee, e soprattutto si deve tentare di comprenderle. Ma negarne l' esistenza e la forza, per tentare di proteggere Platone da se stesso prima ancora che dai suoi critici, non è una buona strategia storiografica e risulta, come già avvertiva Bambrough, unprofitable («improduttivo») sul piano della riflessione critica. Meglio fare a meno della Repubblica, se la si considera inaccettabile, che offrirne un' immagine edificante, depotenziata, insomma «normalizzata» dal punto di vista del senso comune dei nostri tempi.