mercoledì 18 agosto 2010

Corriere Della Sera - 18 Ago 2010 - Page #42

Repubblica 18.8.10
Francesco Cossiga, un personaggio pirandelliano
di Eugenio Scalfari

Alternava fasi di cupa tristezza a fasi euforiche e attivissime. Di solito la tristezza coincideva con le sconfitte: ne ebbe una grave dopo l´uccisione di Moro
I suoi ultimi due anni al Quirinale furono dominati dal narcisismo I giornali davano quasi quotidianamente la prima pagina alle sue sortite

Se si eccettuano Ciampi e Andreotti, non ci sono stati altri in Italia che abbiano avuto un "cursus honorum" così altisonante come quello di Francesco Cossiga: fu sottosegretario alla Difesa con delega sui Servizi, ministro dell´Interno, presidente del Consiglio, presidente del Senato, presidente della Repubblica.
Durante questo lungo percorso militò nella Dc e in particolare nella sinistra di quel partito. Ci furono varie sinistre democristiane: quella di Gronchi, quella di Fanfani, quella di Moro, di Tambroni, di Marcora, di De Mita, ed ebbero diversi destini e diversa dignità. Cossiga militò in una sinistra che aveva lui soltanto come aderente. Una sinistra estremamente mobile e capricciosa, capace di spostarsi su tutto il ventaglio della politica italiana ma con alcuni punti di riferimento fermissimi: i servizi di sicurezza, l´arma dei Carabinieri, l´arma della Marina, gli Stati Uniti d´America e la Corona britannica. Per quest´ultima nutriva una sorta di culto. Anche la massoneria, ma non per adesione ma perché segreta, almeno di nome e di tradizione.
Tutto ciò che era segreto lo affascinava, comprese le tecnologie che maneggiava con grande abilità. Fu un solitario con pochissimi amici. Fu un sardo integrale. E fu un depresso per tutta la vita.
È impossibile ricordare e capire Cossiga se non si ha presente la sua depressione. Io l´ho conosciuto bene, gli sono stato amico, e lui a me, per molti anni; direi dal ´78 al ´90. Poi l´amicizia finì quando lui cominciò a picconare dal Quirinale la Costituzione che aveva giurato di difendere. Da allora i nostri rapporti diventarono burrascosi e mai più amichevoli come un tempo. Va anche detto che la capricciosità depressiva del suo carattere aveva raggiunto un´intensità che rendeva precario e rischioso ogni rapporto. Ma sulla natura del suo male, sulla sua origine e il suo decorso non ho mai saputo se non quello che se ne diceva: che era imbottito di farmaci e non sempre con successo sulle sue condizioni generali di salute.
Come tutti i ciclotimici alternava fasi di cupa tristezza e atonia a fasi euforiche e attivissime. Di solito la tristezza solitaria coincideva con sconfitte politiche. Ne ebbe una particolarmente grave dopo l´uccisione di Moro; un´altra di analoga gravità quando fu minacciato di "impeachment" dal Pci guidato da Berlinguer del quale era un lontano cugino acquisito. Infine una terza al termine del settennato presidenziale che, con continue oscillazioni, non l´ha più abbandonato ed è stata probabilmente la causa della sua fine.
Un uomo di grande intelligenza appoggiata tuttavia ad una piattaforma psichica del tutto instabile, come ha potuto percorrere una carriera politica di quel livello? Come ha potuto essere scelto quattro volte per incarichi di massimo livello politico e istituzionale non avendo alle sue spalle una corrente che lo sostenesse in una Dc che sulle correnti ci viveva?
Queste domande sono rimaste finora senza risposte. Ne azzardo una: la Dc in alcuni momenti della sua storia ebbe bisogno di delegare responsabilità importanti a uomini sciolti dalla struttura correntizia del partito. Quella delega attutiva lo scontro interno o addirittura lo congelava per un periodo che servisse a far riprendere fiato a tutti. Sceglievano uomini "en reserve" che di tanto in tanto entravano in scena per poi uscirne in attesa della prossima occasione.
Così accadde con Leone, presidente di governi balneari, presidente della Camera e poi al Quirinale. Così si spiega anche la collezione di incarichi di Andreotti, il quale nel partito fu sempre molto debole. Andreotti tuttavia fu un tessitore di contatti, di scambi di favori, di un sistema di potere che ebbe i suoi punti di forza nelle minoranze di tutti i partiti. La sua tecnica è stata quella di sparigliare il gioco; di questo fu maestro e su questo entrò a far parte del Gotha politico.
Anche Cossiga sparigliava, ma non per calcolo consapevole bensì per malattia. Da questo punto di vista è stato un personaggio pirandelliano e il dramma Enrico IV sembra scritto su misura anche se lui all´epoca di Pirandello non era ancora nato.
Naturalmente nelle fasi euforiche del suo male l´istinto del Narciso prendeva il sopravvento su ogni altra considerazione. I due ultimi anni del suo settennato al Quirinale furono dominati dal narcisismo. I giornali davano quasi quotidianamente la prima pagina alle sue sortite, ai suoi discorsi, ai sassolini che si toglieva dalle scarpe, ai colpi di piccone che assestava all´ordinamento costituzionale.
Oggi riposa in pace. Ha ricoperto tanti ruoli e tutti di grande importanza ma la sua vita è stata profondamente infelice ed è passata come una meteora nella politica italiana.

Repubblica 18.8.10
Hamilton Smith
"Così io e Venter abbiamo creato la vita sintetica"
di Piergiorgio Odifreddi

Il premio Nobel per la medicina ha realizzato le ricerche che hanno permesso il clamoroso annuncio del "padre" del genoma
"Ci vorrà tempo per arrivare al gene artificiale: non sappiamo fare una proteina da soli"
"Sono state inserite delle filigrane nella cellula: Craig ci ha voluto scrivere una frase di Joyce"
"Il problema era assemblare vari pezzi del genoma: uno dei segreti è stato il lievito"

Il 20 maggio 2010 Craig Venter annunciò che la Synthetic Genomics da lui fondata aveva sintetizzato una cellula. La notizia fece il giro del mondo, e i media fecero a gara a intervistarlo. Dimenticando, però, che Venter è sostanzialmente un manager e un pubblicitario. Il lavoro scientifico è in realtà fatto da altri. Ed è da sempre diretto dal Nobel per la medicina Hamilton Smith: un ironico e caustico ottuagenario, le cui ricerche hanno portato allo sviluppo delle tecniche di clonazione da un lato, e di sequenziazione dei genomi dall´altro.
Per cominciare, la vostra cellula è artificiale o sintetica?
«La stampa ha spesso parlato di cellula artificiale, ma è solo sintetica: la nostra compagnia si chiama "Genomica Sintetica"».
Qual è la differenza?
«Si può capirla pensando ai possibili interventi su qualcuno che abbia perso un arto. Cioè, gli si può applicare un arto artificiale, in grado di svolgere le funzioni dell´arto normale, ma diverso nella progettazione e nei materiali. Oppure, gli si può far ricrescere un arto sintetico, in carne e ossa, ad esempio con un trapianto di staminali. Noi abbiamo fatto la seconda cosa, non la prima. Non abbiamo progettato da zero una nuova cellula. Ad esempio, modificando il substrato chimico delle basi. O inventando un nuovo codice genetico. O progettando nuovi geni. Anche perché questo sarebbe virtualmente impossibile, per ora».
Che cosa avete fatto, allora?
«Circa un anno e mezzo fa abbiamo sequenziato in maniera accurata il genoma del Mycoplasma mychoides, che consiste di un po´ più di un milione di coppie di basi, e l´abbiamo messo in una banca dati. Abbiamo poi ridisegnato al computer il genoma, cancellando alcuni geni, aggiungendone altri, e inserendo delle watermarks, "filigrane". Questo per far sì che la cellula sintetica non fosse esattamente uguale a quella originaria».
Cosa sono queste "filigrane"?
«Sono analoghe alle filigrane che si inseriscono nei programmi informatici, come commenti o come firme d´autore. In informatica non fanno parte del programma, e in biologia non fanno parte del genoma: non codificano nessuna proteina, e sono biologicamente inattive».
E cosa ci avete scritto dentro?
«Venter ci ha voluto mettere tre citazioni. Di Joyce: "Vivere, errare, cadere, trionfare, ricreare la vita dalla vita". Di Oppenheimer: "Vedi le cose non come sono, ma come dovrebbero essere". E di Feynman: "Ciò che non posso fare, non posso capire"».
Nient´altro?
«Ci sono i nomi dei 46 ricercatori che hanno contribuito all´impresa, compresi quello di Venter e il mio. E c´è un sito web: coloro che riescono a decodificare il messaggio, ci trovano un indirizzo mail dove possono contattarci ed essere congratulati».
Immagino dunque che non mi svelerà che codice avete usato per codificare parole del linguaggio.
«Le posso dire che abbiamo preso i 64 codoni, cioè tutte le triplette formate dalle quattro basi A, C, G e T, e abbiamo assegnato a ciascuno una lettera dell´alfabeto, una cifra del sistema decimale o un segno di punteggiatura. Ma per evitare che le trascrizioni effettuate con questo codice finissero per codificare inavvertitamente qualche proteina, abbiamo inserito in ciascuna molti codoni di stop».
Tutto allo scopo di etichettare il genoma come sintetico?
«Non solo. Anche di identificare precisamente chi l´ha fatto, come in un marchio di fabbrica».
Una sola filigrana non bastava?
«Sì, ma a Venter piace esagerare».
Finora, siamo ancora a un genoma scritto sul computer.
«Esatto. A questo punto abbiamo chiesto alla Blue Heron Biotechnology di sintetizzare il nostro genoma. E loro ce l´hanno restituito suddiviso in 1078 pezzi, ciascuno dei quali era lungo un migliaio di basi e si sovrapponeva al successivo o al precedente per 80 basi. Abbiamo dovuto assemblarlo in un´unica catena, e questo non era mai stato fatto per un genoma così grande».
In che modo avete rimesso insieme i vari pezzi?
«Questa è stata una delle nostre scoperte. Ci siamo accorti che, mettendo i vari pezzi dentro una cellula di lievito, l´assemblaggio avveniva automaticamente. In altre parole, non l´abbiamo dovuto fare noi, e ce lo siamo fatti fare dal lievito».
Come mai il lievito fa queste cose?
«La maggior parte delle cellule ha la capacità di assemblare pezzi separati di genoma, come meccanismo di autoriparazione. Il lievito lo fa particolarmente bene, ma non saprei dire perché».
Se però un genoma si spezza, non ci sono sovrapposizioni.
«In genere, no. Ma nelle cellule diploidi, che si ottengono per riproduzione sessuale da un padre e una madre, ci sono due copie dello stesso genoma: il che fa sì che quando ci sono delle rotture, si possono ritrovare delle sovrapposizioni. Ora, ci sono appunto tipi di lievito che si riproducono in maniera sessuale, e che hanno questo meccanismo di riparazione».
A questo punto, che ne avete fatto del genoma completo?
«L´abbiamo impiantato nel Mycoplasma capricolum. Abbiamo così ottenuto un diploide con due genomi, quello originale e quello impiantato, che vengono segregati nella divisione cellulare, ed eliminato le cellule col genoma originale mediante un antibiotico, al quale il genoma sintetico era resistente».
Perché mai?
«Uno dei geni che avevamo aggiunto aveva la funzione di renderlo resistente a quel particolare antibiotico, la Tetraciclina».
Ma non si poteva estrarre il genoma originario?
«Sarebbe stato troppo complicato farlo con un miliardo di cellule, individualmente».
Perché un miliardo? Non ne bastava una?
«Una basterebbe, se fossimo molto abili nelle tecniche microscopiche. Ma non siamo in grado di farlo con cellule così piccole. Infatti non parliamo propriamente di trapianto di genoma, ma di impianto. O meglio, di trasformazione naturale».
E alla fine cosa si ottiene?
«Le cellule col genoma originale sono eliminate dall´antibiotico, e quelle col genoma sintetico sopravvivono. Alla fine, rimangono solo quelle. Come verifica finale, abbiamo sequenziato il loro genoma, e controllato che fosse effettivamente quello che ci avevamo messo noi».
E lo era?
«Non perfettamente. Aveva tutti i cambiamenti che avevamo fatto noi, comprese le filigrane. Ma c´erano state delle mutazioni, come ci si poteva aspettare. Una era stata prodotta dal lievito, nel processo di incollamento dei pezzi. Altre otto erano avvenute nel processo di copiatura, ovviamente nessuna letale. E poi c´erano basi che provenivano dal Dna dell´Escherichia coli».
Arrivate da dove?
«Dall´ambiente in cui avevamo fatto crescere la cellula. Per fortuna erano finite dentro uno dei geni non essenziali, se no avrebbero potuto provocare guai e far fallire l´intero processo di duplicazione».
A parte il gene per l´antibiotico, avevate fatto altri trucchi?
«Sì. Abbiamo messo dei vettori che permettessero al genoma del Mycoplasma di essere riconosciuto dal lievito».
Tutte queste cose esistevano già in natura, o avete dovuto inventarle voi?
«Abbiamo dovuto accontentarci di usare il repertorio della natura. Ci vorrà molto tempo, prima che si riesca a fare un gene veramente artificiale. Non siamo ancora così intelligenti da progettare una proteina da soli. Per ora solo "Dio" sa farlo, nel senso della natura e dell´evoluzione».

il Fatto 18.8.10
Cattolici in picchiata
In America Latina il declino della Chiesa di Roma, che in Brasile ogni anno perde un milione di fedeli
di Maurizio Chierici

Non è vero che Dio è morto come mormoravano i pessimisti 40 anni fa. A volte cambia casa. Protestanti, chiese evangeliche, sette pentecostali stanno conquistando il continente più cristiano del mondo: l’America Latina. Nel 2001 attorno alla Chiesa di Roma si raccoglieva il 49,6 per cento della popolazione mentre le diverse anime luterane arrivavano al 31. Adesso le voci che anticipano il censimento 2011 raccontano di trasferimenti clamorosi verso la galassia del protestantesimo, che sta per superare il 40 per cento dei fedeli. Esodo che non finisce nelle chiese tradizionali della vecchia Europa: Calvino e Lutero sono sempre stati minoritari nell’America coloniale. Preferenze ad evangelici, soprattutto pentecostali. Le “sette” passano dai 3 milioni del 1991 ai 21 milioni del 2010.
IN BRASILE , dove la comunità più estesa si riconosce nel Vaticano, un milione di persone lascia ogni anno Roma alla ricerca di un cristianesimo diverso. Se possiamo dire così, ormai Rio e San Paolo lottano con Germania e Sudafrica per il terzo posto nella classifica delle nazioni protestanti, subito dopo Stati Uniti ed Inghilterra, prima di Nigeria e paesi scandinavi. L’analisi dei teologi cattolici prova a spiegare gli “errori” del potere romano-centrico, forse troppo chiuso nella burocrazia dei corridoi, forse lontano dagli uomini che negli affanni quotidiani cercano la speranza di Dio.
Per frenare l’emorragia, nel 2007 Benedetto XVI va in Brasile alla conferenza episcopale latinoamericana. Cristoforo Dominguez ne fa parte e dice: “Non è servito a niente. La fuga continua perché la Chiesa continua a commettere peccati di omissione”. Non rompe, nella pratica, le disuguaglianze parallele che angosciano il tessuto sociale latino: da una parte il pacchetto delle grandi famiglie (latifondisti, impresari, gerarchie politiche), dall’altra il 40 per cento della gente (230 milioni di persone) con problemi di sopravvivenza materiale e spirituale. Roma ha un debole per le borghesie devote all’Opus Dei o ai Legionari di Cristo, obbedienze chiuse nel privilegio della società “onori-affari”. Degli altri si era preoccupata la teologia della liberazione, i preti che condividevano gli stracci e che i teologi della tradizione non sopportavano. Papa Giovanni Paolo II e il cardinale Ratzinger li hanno oscurati in una interminabile agonia della quale si stanno pentendo ma che ha lasciato un vuoto nel quale sono accorsi i luterani d’assalto. “Non chiamiamoli sette”, si arrabbiano Leonardo Boff e Carlo Alberto Libonio Cristo, detto Frei Betto, teologi brasiliani ai margini della chiesa ufficiale. “Sono cristiani che pretendono rispetto. Hanno riempito lo spazio abbandonato per decisione vaticana. Le sette stanno interpretando il post moderno con l’impegno di tener viva la spiritualità della gente. Senza di loro non ci sarebbe niente”.
FREI BETTO , esponente della teologia della liberazione, aggiunge: “Non ci siamo adeguati all’evoluzione dei tempi: gerarchie e abitudini rigide, non troppo diverse dagli anni della colonia. Se un povero ha bisogno di parlare col suo prete deve prendere appuntamento una settimana prima. Incontro sospirato che magari trascura appena i dubbi che lo tormentano o l’angoscia di una crisi di lavoro o familiare sono superate. E comincia la lontananza. La luce delle case d’accoglienza di pentecostali ed evangelici è invece sempre accesa”. Volontari giorni e notte. Ascoltano, consolano insegnano a parlare “direttamente con Dio”. Chi soffre li ritrova sulla porta di casa. “Nelle metropoli il concetto organizzativo della parrocchia appartiene ad un altro secolo. La gente è cambiata. Vuol parlare e subito. Essere ascoltata quando ha bisogno. Troppo spesso Roma non se ne accorge”. Ma i cattolici devono sopportare altri conti. Per coprire le reti parrocchiali, il Brasile bisogno di 120 mila sacerdoti. Ne ha 17 mila anche se la conferenza dei suoi vescovi resta la più consistente del mondo cattolico: 352. Fra loro 60 conservatori, 80 progressisti, altri in evoluzione, come il cardinale Hummes. Era fra i papabili quando Ratzinger si è seduto sul trono di Giovanni Paolo II. Negli anni ’80 Humes faceva il vescovo di San Andres, grande San Paolo. Assieme a Lula sgomitava davanti ai cancelli delle fabbriche chiedendo ricompensa equa per i lavoratori. Adesso se ne scusa: “fervori di gioventù” ma non sono radici tagliate.
ASSIEME A LULA ha passato la notte di due Natali fa sotto il ponte di una favela, con gli ultimi del mondo. Ma se gli Hummes seguono i tempi, altre chiese latine si inchiodano al passato. Cardinale Madriaga in Honduras dalla parte del golpe militare che rovescia il governo democratico; chiesa cilena che implora il nuovo presidente Piñera di perdonare i militari che hanno violato i diritti umani. Tragedia del presente, che in Cile rievoca il disagio del passato quando il nunzio apostolico Sodano (diventato Segretario di Stato, ormai é a riposo) organizza l’apparizione di Giovanni Paolo II sul balcone della Moneda accanto a Pinochet. È stato il giorno della disperazione per milioni di cattolici contrari alla dittatura. Storie lontane che continuano, ma la differenza tra nuovi protestanti e Roma resta la struttura dell’organizzazione sociale.
La chiesa evangelica funziona come una micro-società: si riproduce ogni giorno. Con l’aiuto, va detto, di una comunicazione a volte grottesca. Spazi noleggiati in tv commerciali, 20 miracoli in diretta ogni ora. Pat Robertson dirigeva la quinta casa di produzione tv degli Stati Uniti ed è proprio egli Stati Uniti che il voto comincia a corteggiare i protestanti latini in esilio di lavoro. Una volta erano solo cattolici, adesso non più. Roma lo sa, chissà cosa farà.

Ansa.it 18 agosto
Madre umani vissuta 200 mila anni fa
Data unica di progenitrice confermata da un vasto studio statistico

Cosi' Klimt immagino' e disegno' Adamo ed Eva

ROMA - La mamma di tutti gli umani sarebbe vissuta circa 200.000 anni fa. La conferma viene da una delle più vaste ricerche statistiche sull'argomento, che ha confrontato gli studi di genetica delle popolazioni basati sull'analisi del Dna mitocondriale, il materiale genetico che si eredita esclusivamente per via materna.

La ricerca, coordinata dalla Rice University di Houston (Texas) e pubblicata sulla rivista Theoretical Population Biology, precisa per la prima volta la data in cui sarebbe vissuta l'Eva Africana, la cui esistenza è stata proposta in una teoria pubblicata nel 1987 su Nature.

L'ipotesi si basava su dati di genetica delle popolazioni raccolti in tutto il mondo e dimostrava che il Dna mitocondriale dell'uomo moderno deriva da una donna vissuta circa 150.000-200.000 anni fa in Africa.

Adesso lo studio della Rice University è riuscita a raggiungere una maggiore precisione nella datazione, basandosi su nuovi modelli che considerano i fattori casuali collegati alla crescita e all'estinzione delle popolazioni. "I modelli classici che cercano di datare l'Eva Africana - osserva uno degli autori, l'esperto di statistica Marek Kimmel - non tengono conto di questi processi casuali".
segnalazione di Andrea Califano e Franco Pantalei