domenica 8 agosto 2010




l’Unità 8.8.10

La battaglia di Rossana Mori, sindaco di Montelupo Fiorentino per chiudere le celle dell’Opg
Il ricorso al Tar del governo contro l’ordinanza che imponeva i lavori di ristrutturazione
«Io contro il ministero per difendere la dignità»
«Credo che non possano esistere zone franche nel territorio soprattutto quando sono in ballo la salute e la dignità della persona» sostiene il sindaco di Montelupo Fiorentino Rossana Mori
di Maria Vittoria Giannotti

FIRENZE. Nel marzo del 2009 gli ispettori della Asl varcarono per la prima volta la soglia dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. Ne uscirono con una dettagliata relazione in cui erano evidenziate tutte le criticità della struttura che, all’epoca, ospitava 196 internati. Una situazione di sovraffollamento inaccettabile. Aggravata dal fatto che le celle erano fatiscenti e in precarie condizioni igieniche. Il documento, come prevede la legge, finì sul tavolo del sindaco del paese. Rossana Mori, del Pd, si prese due giorni di tempo. Poi, come massima autorità in fatto di salute pubblica sul territorio, emanò un’ordinanza nei confronti del ministro Alfano.
«Chiedevo spiega Rossana Mori l'immediata chiusura di alcune celle che venivano in parte utilizzate, in caso di necessità, per l'isolamento, ma anche il ripristino di un numero accettabile di internati e lavori di ristrutturazione e di pulizia di alcune parti dell’edificio». La risposta del Ministero non si fece attendere: l’ordinanza del sindaco fu impugnata davanti al Tar. E il Tribunale concesse la sospensiva.
«Non me lo sarei mai aspettato spiega il primo cittadino anche perchè il mio unico scopo era quello di agire nell’interesse della comunità. Mentre nel ricorso del Ministero si sosteneva, tra le righe, che la situazione all’interno dell’opg non era di mia competenza. Ma credo che il primo cittadino di un comune non possa permettere che vi siano zone franche sottratte alla propria giurisdizione, soprattutto quando sono in gioco elementi fondamentali come la libertà, la salute e la dignità della persona. Da allora non abbiamo saputo più niente». Rossana Mori non ha comunque mai abbandonato la speranza.
«La battaglia per l'opg è sempre stata un punto di forza di tutte le amministrazioni che si sono succedute negli anni. Il primo atto ufficiale dell’impegno del Comune per la struttura risale al 2004, quando venne istituito un laboratorio, La casa del drago, che attivò un dialogo anche con le associazioni che si occupavano degli internati. Poi, due anni dopo, organizzammo un convegno all’interno dell’ospedale in cui fu lanciata la proposta di regionalizzazione di tutti gli opg d'Italia. Proposta che fu raccolta da un decreto del primo aprile 2008. Fu l’ultimo atto del governo Prodi e rappresentò un grande passo in avanti, in parte annullato dal successivo governo Berlusconi. Da allora, però, le Asl cominciarono a lavorare per prendere in carico i propri internati. E così fu possibile effettuare quell’ispezione che portò all’emissione dell’ordinanza, unica in Italia. Se ogni regione si facesse carico dei propri internati, per noi di Montelupo sarebbe finalmente possibile ridurre sensibilmente il numero degli ospiti: dai 170 attuali a circa 50-60».
Quello del sovraffollamento resta uno dei problemi più impellenti. Il dato è emerso anche nel corso dell’ispezione a sorpresa che il senatore Ignazio Marino, in qualità di presidente della commissione di inchiesta sull’efficacia del servizio sanitario, ha effettuato lo scorso luglio, all’interno della struttura alle porte di Firenze, così come negli altri opg italiani, alla presenza degli specialisti del Nas. I punti dolenti evidenziati a suo tempo dalla Asl sono rimasti tali. «Due padiglioni si legge nella relazione si presentano con evidenti carenze strutturali. Si notano estese macchie di umidità ai soffitti e alle pareti, intonaci scrostati e carenti, celle anguste e i servizi igienici di alcun celle sono risultati sporchi, con urine sul pavimento e cattivo odore. In una cella, nel reparto Pesa, ci sono sei internati». «Nella sezione maschile denuncia il senatore Marino c'è l'unico transessuale internato in Italia. La sua cella è quasi sempre chiusa».
«Credo che questo coraggioso e meritorio sopralluogo conclude il sindaco, che ha scritto al senatore per raccontare la storia della sua battaglia rappresenti un’ulteriore presa di coscienza del problema».

l’Unità 8.8.10
Visite a sorpresa: così la Commissione ha scoperto l’orrore

Detenuti legati al letto, buche per raccogliere gli escrementi, macchie di umido alle pareti, muffe, odore di urina. È il quadro, agghiacciante, che emerge dal rapporto preparato dalla Commissione sul Sistema sanitario guidata da Ignazio Marino. E che tra giugno e luglio ha visitato a sorpresa sei ospedali psichiatrici giudiziari (Opg): Barcellona Pozzo di Gozzo, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Aversa e Napoli. «Un viaggio nell’Ottocento», come lo ha definito il senatore del Pd, dove i detenuti vengono spogliati, non solo dei propri vestiti ma anche di ogni dignità umana.
Le foto che vedete in queste pagine sono state raccolte durante le visite della Commissione e accompagnano il resoconto dettagliato che i componenti hanno fatto di ogni singolo istituto e di cui l’Unità diede notizia lo scorso 16 luglio. La disponibilità delle immagini e alcuni sviluppi della vicenda impongono tuttavia di tornare sull’argomento. Tra questi ultimi, la sorprendente decisione del ministero della Giustizia di ricorrere contro la decisione del sindaco di
Montelupo Fiorentino che, ancora prima delle visite della commissione guidata da Marino, aveva chiesto l’immediata chiusura dei padiglioni più fatiscenti dell’Ospedale.
Gli Opg, come spiega Marino nella sua relazione, sono strutture che negli anni Settanta hanno sostituito i manicomi criminali e che oggi ospitano 1500 internati. «Tra il profilo sanitario e penitenziario dice Marino negli opg visitati prevale l’approccio carcerario ed è pressoché assente, anche nelle realtà più virtuose, l’impostazione terapeutica».
Le condizioni più intollerabili sono state riscontrate nell’ospedale di Barcellona Pozzo di Gozzo, in provincia di Messina: in una cella, un paziente nudo, sedato, coperto da un lenzuolo, veniva tenuto legato mani e piedi «agli assi metallici del letto» e, proprio sotto, un buco centrale per «feci e urine a caduta libera in una pozzetta posta in corrispondenza del pavimento». Nei bagni, bottiglie d’acqua da bere legate con una cordicella e calate nello sciacquone del water, per mantenerle fresche.

l’Unità 8.8.10
Nel nido del cuculo tra i «matti» che vedono attraverso le sbarre
Dolore e rassegnazione, viaggio nel manicomio criminale di Barcellona In dieci in una stanza, i bivacchi, l’attesa senza fine e senza alcuna speranza
di Manuela Modica

Bisogna lasciare fuori tutto. La paura, per cominciare. I giornali li hanno sbattuti in prima pagina: padre uccide moglie e figli e si costituisce. Oppure, finisce la madre a colpi d’ascia. O ancora, impazzito spara sulla folla. Chiuso il giornale, la storia continua dietro quelle mura. È lì che la leggerai: rinchiusi oltre quel confine, lì dove inizia la latrina sociale – questo è – dove li scarichiamo, ci sono i mostri. E stai per incontrarli. Ecco, si inizia da qui: la prima cosa che deve restar fuori è un’idea, anche una qualsiasi, accesa dalla cronaca nera o stimolata dall’immaginario cinematografico, di quel che vedrai.
La prima porta da superare è questa. È il cancello più grande. Quando ci arrivi, abbandonata l’autostrada, percorsa una parte del centro di Barcellona, imboccato il lungo viale che da lì si srotola verso il mare. Devi essere pronto. Il primo grande cancello è su quella via in discesa, di fronte a palazzi ora giallini, ora verdini, ora rosellini. Lui è grande, grosso e di un blu intenso. Apre sul primo cortile, quello di chi entra ed esce ogni giorno da lì. A sinistra ci sono gli uffici, degli educatori, dei volontari, del direttore. C’è il bar della polizia penitenziaria. Ci sono i «soldatini» della nostra organizzazione sociale, quelli che forse li maltrattano, e forse li devi smascherare. Sono quelli a cui potresti scaricare tutta la colpa. Ecco, la prima porta apre su loro, sui deputati carnefici. Di fronte, invece, il passaggio più importante, quello in cui gli indumenti cambiano aspetto, e la sciarpa non copre più la gola ma la strozza.
Eccolo questo mondo deformato sull’orrore, sulla paura, sulla morte: su quel che dell’animo tende alla tragedia. Questo è il nostro orrore e quel che vedremo. Bisogna denudarsi: cellulari, borse, pregiudizi. Poi gli armadietti, il registro per le firme, le chiavi. Bisogna guardarle con attenzione, di chiavi così non se ne sono mai viste, sono grandi, grosse, sono tante, tantissime. Perché si apre e si chiude tutto, di continuo, si fa attenzione, si delimita, incessantemente. E il ritmo del tempo è scandito da questo. Da nient’altro, perché questa è un’altra dimensione, dove il tempo è diventato attesa. Poi il metal detector e le due porte di mezzo. Una ti si chiudre dietro e l’altra ti si apre davanti. Sul secondo cortile, a destra, la cabina telefonica, fuori non se ne vedono più, dentro è l’oasi dall’isolamento, c’è la fila.
E già li vedi quei mostri in prima pagina. E sono mostri, si, e fanno paura, si, perché sono tali e quali a te. Oltre la cabina, ancora a destra si va per l’ottavo reparto, il più libero, quello di custodia attenuata. Da lì arriveranno i più ‘normali’. Di fronte l’ultima porta prima di accedere al cuore del carcere psichiatrico. È preceduta da un grande orologio, fermo, rotto. Un corto circuito e il tempo s’è fermato, ecco cos’è successo, a quell’orologio e a tutto il resto. “U ciriveddu è un filu i capiddu”, si dice in Sicilia, che il cervello cioè non è che sottile e debole come un filo di capello. Ed è ricordando questo detto che trovi il trait d’union, quel filo che unisce te e loro e abbatte il muro che vi separava. Dopo l’ultimo riconoscimenro, è fatta: sei dentro, in gabbia. Tutte le porte dietro di te sono chiuse. Si entra sul cortile verticale che penetra di normalità quel che t’aspettavi diverso, e che troverai dentro i peggiori reparti. Intanto, un normale cortile interno, familiare, come quelli di alcuni condomini. Gli alberi e le aiuole. Gli edifici a due piani – i reparti -, a destra e sinistra. Qui si bivacca, sulle panchine, si fuma. Si scherza: “Ma lo sai che sei tutto pazzo?”. Si vive come si può.
C’è Beniamino, due occhi di un azzurro fuoco, e l’ironia tipica dei siciliani: “Qui sono fuori di testa”. Molleggia con andamento lento quando cammina, e scanzonato. E un unico pensiero: “Vi dà fastidio se fumo?”. Ad Angelo in realtà un po’ secca. Sta sempre in pantafole e una tuta alta fino quasi alle costole. Ma non fuma. Ed è sincero: “Faccio questo corso solo per far passare il tempo”. Mantiene un’unica passione tra “il prima e il dopo”: i treni. Legge ogni rivista di genere. E legge la nuova dimensione con rassegnazione: “Tanto fumano tutti. C’è pure un mercato interno di sigarette – racconta – una sorta di baratto.
Ognuno ha una sua quota di sigarette al mese, ma c’è chi le finisce prima. E in cambio ti promette anche un fornello nuovo: È una divinità qua dentro il tabacco e loro sono come i credenti”. C’è Salvatore, viso pieno, serafico, passa tutto il tempo dentro a scrivere, e spiega: “Se non avessi vissuto tutto questo, oggi non saprei un sacco di cose sul mio conto. Si può imparare il meglio in queste orribili condizioni. E una cosa di sicuro l’ho imparata: in un posto come questo, se sei pazzo, impazzisci”. Il perché non deve spiegarlo. Mentre parla si ascoltano voci invocare attenzione, da altre celle, in altri reparti. Quelli, come il VI, in cui gli internati vivono dormendo, tutto il giorno, confusi con le coperte. In dieci nella stessa stanza.
E c’è Salvatore, l’altro. Ha capelli neri ingellati indietro, i modi docili di un bimbo e lo sguardo spento. Cerca di ordinare i pensieri e far quel che gli chiedi. Qualche volta fa fatica, ma non dopo essere andato in licenza. Dopo la licenza da padre Pippo Insana, un paio di giorni al mare, torna in carcere con lo sguardo vispo e i pensieri tutti in fila. Un effetto che dura poco. Salvatore vive nel II reparto. I letti di contenzione, quelli col buco al centro, sono lì. Vede e sente tutto.
Ed ogni volta è come avvertire i lacci stretti sulle sue caviglie e polsi. Le imbracature sulle sue spalle. Basta qualche giorno così e i pensieri tornano sparsi. E quel filo di capello si spezza ancora.

Repubblica 8.8.10
Primarie Pd, tre candidati già in campo
Sono Bersani, Chiamparino e Vendola. D´Alema pensa a un nome per attrarre l´Udc
di Mauro Favale

ROMA - Non lo chiamano "modello Puglia" per evidenti implicazioni scaramantiche: allora il candidato dei democratici alle primarie perse contro Nichi Vendola. Ma la sostanza è che il Pd si è messo a studiare con attenzione il capitolo elezioni anticipate. Puntando sulle primarie. Due giorni fa, Filippo Penati, capo segreteria di Pierluigi Bersani, ha ribadito che «tutte le candidature che arrivano sono buone». Per ora, in campo ci sono Vendola e Sergio Chiamparino. Più Bersani che, statuto alla mano, sarebbe il candidato naturale del Pd. Ma l´idea che prende strada, e alla quale starebbe lavorando anche Massimo D´Alema, sarebbe quella di proporre anche un candidato che guarda al centro per attrarre - e qui starebbe il parallelo col precedente pugliese - il cosiddetto Terzo Polo.
Enrico Letta, il quale anche ieri ha ripetuto che il candidato del Pd è Bersani, potrebbe incarnare questo profilo. Oppure, al posto suo, un nome al momento tenuto coperto. L´obiettivo è provare a rappresentare un´alternativa che sappia di novità. Per privare Berlusconi dell´argomento, tutto da campagna elettorale, che dall´altra parte ci sono sempre le stesse facce. Ufficialmente, il primo obiettivo è «costruire l´alleanza». Lo conferma il senatore Nicola Latorre: «Evitiamo le geometrie politiche e pensiamo a mettere insieme un progetto che si rivolge a tutte le forze d´opposizione». Lo dice anche l´ex ministro prodiano Giulio Santagata, che però mette un po´ più di fretta: «Siamo indietro nella costruzione della coalizione - spiega - . L´eventualità delle elezioni anticipate non è secondaria e bisogna darsi una mossa».
Il campo dovrebbe essere quello allargato delle forze di opposizione, dentro e fuori il parlamento. Definito questo, poi, c´è il capitolo primarie, da affrontare, appunto, con un candidato del Pd appetibile anche per i centristi. Non Vendola, per il quale D´Alema ha già dichiarato il suo non voto. Nonostante il governatore pugliese abbia buoni rapporti personali con Pier Ferdinando Casini. Una settimana fa i due si sono visti a cena in occasione del compleanno dell´assessore Dario Stefàno, un ex Udc nella giunta Vendola. Grande cordialità ma, assicurano gli altri invitati, nessun discorso politico. Il presidente della Regione Puglia è quello che, insieme a Di Pietro, più spinge per l´ipotesi elezioni anticipate: «C´è una maggioranza in parlamento disponibile a cambiare la legge elettorale e a fare il conflitto di interessi? Che si organizzi. Mi sia consentito, però, di dubitare». Chiamparino, invece, propone l´idea di «un nuovo Lingotto», come quello di Veltroni: «Il Pd - spiega il sindaco di Torino - dev´essere punto di riferimento per il terzo polo come per l´area di Vendola».
L´opzione primarie, però, resta per ora il "piano B". Il "piano A" punta, in caso di crisi, a un governo di transizione per modificare la legge elettorale. «Non cambiarla sarebbe un´occasione persa», avverte Francesco Boccia. A quel punto bisognerebbe trovare un accordo su quale sistema adottare. E un pezzo del Pd non fa mistero di preferire il proporzionale alla tedesca.

il Fatto 8.8.10
Se Nichi torna un gay
Il vescovo di Otranto attacca Vendola “Ostenta la sua condizione perversa”
Franco Grillini: “Certe posizioni retrive ci sono anche tra alcuni Democratici”
di Sandra Amurri

“Non darei la comunione a Vendola perché ostenta la sua condizione perversa e malata di omosessuale praticante. A questa gente come lui, un gran furbacchione che specula sulla sua presunta vicinanza alla Chiesa, i vescovi e i sacerdoti sappiano dare un bel calcio nel sedere”. Questo è il pensiero di monsignor Vincenzo Franco, vescovo emerito di Otranto. “Se muore un gay certamente me ne dolgo e prego per lui, ma non posso celebrare una messa funebre per la semplicissima ragione che è morto senza pentimento, senza cambio di vita e da pubblico peccatore, pietra di scandalo. Il Vaticano spesso tace su questioni importanti dando un’idea di indulgenza a buon mercato”. Il riferimento è sempre ai gay ma anche a chi convive more uxorio. “Esiste una mal celata idea di misericordia”. E se si prova a ricordargli che Dio è misericordioso risponde: “Certo ma allora costoro se la vedano direttamente con lui, noi in terra non possiamo cambiare le regole imposte dal diritto canonico”. Parole che sgomentano, respingono e allontanano e danno il la ad una musica che, seppure in sordina, serpeggia anche negli ambienti politici cosiddetti progressisti da quando Nichi Vendola ha dichiarato che si candiderà a governare il Paese.
IN ASSENZA di argomenti politici o di argomenti deboli da contrapporre al presidente della Puglia che smuove le piazze e le coscienze – e che viene apostrofato come “il poeta di cui la politica non sente il bisogno” o come “il sognatore” a cui manca la concretezza dell’agire – il solo leit motiv sembra essere la sua omosessualità dichiarata e mai ostentata, come il suo essere cattolico.
DUE CONDIZIONI inconciliabili per monsignor Franco che lancia alla Chiesa un duro richiamo di fedeltà alle regole su cui si fonda, di chiara matrice integralista. Ma questo è un Paese che saprebbe fare i conti con un premier omosessuale? Oppure l’omosessualità, al di là delle enunciazioni utili per conquistare il patentino di “uomini civili”, continua ad essere un fattore di discriminazione? “Credo che posizioni così brutali e razziste, che sono evidentemente l’indicatore che esiste ancora una forte discriminazione, vengano espresse in quanto la politica continua ad essere subalterna alla Chiesa”. Risponde così Franco Grillini, responsabile nazionale Diritti civili dell’Idv e presidente onorario di Arcigay, associazione fondata con Nichi Vendola. “Altrimenti – prosegue – al vescovo emerito di Otranto e a tutti gli altri vescovi e cardinali che di volta in volta si uniscono al coro, verrebbe spiegato che il nostro Stato è regolato dalla Carta costituzionale. Punto”.
MA SECONDO GRILLINI , a dimenticarlo è anche il maggiore partito di opposizione, il Pd, a cui non ha mai aderito da ex Ds contrario allo scioglimento e alla mescolanza con la Margherita. “È ovvio che certe posizioni retrive e razziste trovino terreno fertile nei settori clericali conservatori del Pd. Sono una sorta di richiamo della foresta, come dimostra la posizione che il Partito democratico ha avuto in consiglio provinciale a Pesaro votando contro la mozione sulle unioni civili, o in consiglio comunale a Udine dove si è schierato contro la campagna anti-omofobia. Invece su questi temi noi dell’Idv non ci siamo mai divisi: sui diritti civili abbiamo una posizione chiara e netta”. Ci sono i presupposti perché nel Pd si scateni una campagna anti-Vendola fondata sulla sua omosessualità? “Se accadrà non avverrà certamente in maniera palese perché vorrebbe dire assumersi la responsabilità di fare del razzismo a buon mercato e questo li penalizzerebbe, nel senso che provocherebbe una tale levata di scudi che di fatto sarebbe una campagna pubblicitaria pro-Nichi”.
ALCUNI ANNI FA , Eugenio Scalfari, rispondendo alla domanda di un lettore sul Venerdì di Repubblica che chiedeva se l’Italia avrebbe potuto avere un presidente della Repubblica gay scrisse: “Io non ho pregiudizi ma è difficile che un gay possa rappresentare tutti i cittadini”. Mentre il Paese potrebbe avere un premier gay? Risponde Grillini: “I cittadini vogliono essere ben governati soprattutto di fronte alla drammaticità del momento che vede crescere la disoccupazione e la povertà, poi, che il presidente del Consiglio sia omosessuale credo che non gliene freghi proprio niente”. Però l’elezione di un premier gay segnerebbe anche la fine di un tabù. “Certamente – prosegue l’esponente Idv – Quando Nichi venne eletto in Puglia dissi che era un fatto storico. Se diventasse capo del governo sarebbe una rivoluzione copernicana”. E magari anche in Italia come in Islanda governata da Johanna Sigurdardottir lesbica il Parlamento approverebbe la legge sui matrimoni gay ribattezzata ad personam perché ha permesso alla premier di sposare la sua compagna.

il Fatto 8.8.10
La guerra di “Liberazione”: neo-comunismo e pochi soldi
di Luca Telese

Nel cuore della grande crisi che sta attraversando la stampa di sinistra c’è anche questa piccola e paradossale vicenda. Quella del direttore che usa il suo giornale per insultare i propri giornalisti. È la storia di Dino Greco, l’ex sindacalista di professione della Cgil che definisce “insulso” lo sciopero dei suoi dipendenti, e che chiedere ai redattori di Liberazione di aderire come un solo uomo al progetto di “un quotidiano neocomunista”. Legittimo, per carità. Ma poco coerente con la storia di un giornale che fino a ieri era il più libertario della stampa italiana, e infatti ora perde copie. Che cosa poi Greco intenda per “progetto neocomunista” è un po’ più oscuro. Nella contabilità del giornale che manda in stampa tutti i giorni, infatti si sono moltiplicati gli episodi di nostalgia e di veteroideologismo. Messe cantate per la Corea del Nord, recensioni entusiastiche per le biografie del vecchio Iosif Dugasvili (in arte Stalin) richieste di correzione anche per articoli che apparentemente non avevano nulla di ideologico, ma che magari accennavano al “crollo dei regimi dell’Est”. Quale crollo? Quali regimi?
Greco, nel secondo editoriale scritto contro i suoi redattori, li ammonisce ricordando loro che non possono immaginare “un giornale che approdi alle magre sponde del post-comunismo o dell’a-comunismo e che affida ad un confuso sincretismo culturale, sostanzialmente autoreferenziale la ricerca di nuovi lettori”.
In realtà, come spesso capita a sinistra, la questione è molto più prosaica. I vituperati redattori, pensate, si sono permessi di protestare perché il partito di Rifondazione comunista ha detto che non sa quando tornerà a pagare gli stipendi. E tutti sanno che per far quadrare i conti serviranno dei licenziamenti corposi, che permettano magari di tenere i redattori più ortodossi. Qualcuno dovrà spiegarlo, a Greco: malgrado la Corea e Baffone, più che dalle parti del neocomunismo, si aggira nei territori del neomarchionnismo.