mercoledì 4 agosto 2010




Il Manifesto 4.8.10

Emma Bonino: «Niente fuffe, meglio votare. E alle primarie io ci sarò»
Vendola? «Divisi soprattutto su Pomigliano»
di Sara Menafra

È vero, vorrebbe una riforma elettorale uninominale «all'americana». Ma di governo istituzionale la presidente del senato e leader radicale Emma Bonino non vuol sentire parlare. Quando in serata lascia l'ultima presidenza del senato prima della pausa estiva, ci mette poco ad ammettere che a questo punto è meglio votare, meglio ancora se si fanno le primarie di coalizione alle quali parteciperebbe di certo. Vendola? «Ci dividono molti temi. Ad esempio, Pomigliano».
Coi Radicali state lanciando un tavolo che sostenga la riforma elettorale uninominale. Nel Pd si parla di proporzionale. Non c'è ancora la crisi di governo e già vi dividete?
Io dico che c'è un gran parlare di governi tecnici, di unità nazionale, istituzionali. A me sembra fuffa, l'ipotesi del Pd "unità nazionale ma senza Berlusconi" è fantascientifica. Eppoi, si dice "governo tecnico per fare una legge elettorale". Ma quale? Noi Radicali abbiamo una proposta secca che è quella uninominale. Collegi piccoli in cui l'elettore conosce vita, morte, miracoli, visioni e ambizioni del candidato. La posizione del Pd non mi è chiara.
Un eventuale governo tecnico avrebbe il suo appoggio?
Nelle condizioni date, la mia posizione è: primo, questo governo ha vinto le elezioni ed ha la responsabilità di governare. E' una responsabilità difficile? Sì. Non lo sa fare? Infatti, però questo è l'impegno che si è assunto. Punto.
Quindi, nessuna maggioranza alternativa?
In una democrazia normale si andrebbe al voto. Noi invece viviamo in un regime che è altro, noi Radicali lo definiamo la peste italiana. Assistiamo a contorsioni di palazzo assolutamente oligarchiche. Cinquanta persone che si vedono, si scambiano interviste per parlarsi tra loro. Non è possibile andare avanti cosi. Chi ha la responsabilità di governare governi, l'opposizione prepari una alternativa. Nell'alternativa noto però che su temi di fondo non si discute neppure. Quale legge elettorale? Quale rilancio economico del paese? La questione dello stato di diritto, della legalità, la riforma della giustizia e quindi delle carceri? E cito solo tre grandi temi.
Lei non ci sta.
Per carità, è già tutto visto. Uno stantio ritorno al passato.
Nemmeno se si lavora alla legge elettorale?
Se fosse per una riforma all'americana... Mi pare invece che la tendenza è ad una ennesima controriforma più o meno proporzionalista. Resto convinta che Berlusconi va battuto politicamente e segnalo che tutti questi sussulti e queste contorsioni vengono lette anche fuori Italia. Siamo un paese che in piena crisi economica sta novanta giorni e più senza ministro dello sviluppo economico... Sono cose inenarrabili.
Bersani ha detto che non vedrebbe male un governo a guida Tremonti.
Sì, ma ha subito smentito.
Senza dire che Tremonti non gli piace.
Se il Pd vuole un governo di larghe intese non può mettere veti.
Con l'astensione su Caliendo potrebbe nascere il terzo polo.
Rientra nella gestione oligarchica della politica di cui dicevamo.
Ha detto che valuta di candidarsi alle primarie.
Dico solamente che se si apre il cantiere delle primarie di coalizione non capirei perché chi rappresenta una sinistra laica e liberale o comunque un vissuto di alternativa di legalità laica e liberale, non debba rappresentare questa parte di storia del paese. Le primarie non le decido io, se qualcuno le apre non ci possono essere preclusioni.
Ha bocciato subito l'ipotesi Vendola, perché?
Penso che chi si schiera a viso aperto va rispettato. Nei contenuti, però, ho molto da dire. Sull'analisi che fa della crisi internazionale e delle sue possibili soluzioni, ho una posizione completamente diversa, come su Pomigliano o sulla questione Marchionne/Fiat.
Cosa vi divide su Pomigliano?
In Italia e nel Sud in particolare, servirebbero cento Pomigliano, il vero problema di questo paese non è se Marchionne se ne va è che non viene nessun altro. Dobbiamo chiarirci sul perché.
Sindacati troppo rigidi?
Pur considerando che il costo del lavoro incide per l'8%, c'è sicuramente una visione conservatrice di una parte sindacale in particolare. Premesso che io non trovo niente di immorale nel far lavorare un operaio di nazionalità serba, visto che una volta si era al «lavoratori di tutto il mondo unitevi». Se poi votiamo ogni due anni, chi dovrebbe investire da noi?
A chi obietta che Vendola in Puglia ha vinto e lei nel Lazio no cosa risponde?
Di fare qualche calcolo per esempio riguardo all'Udc. In Puglia sono andati da soli e qui hanno sostenuto la Polverini, poi sul Lazio ci sono state altre ragioni...
Nessuna autocritica?
Non particolarmente, sbagli se ne fanno sempre ma se si guardano i numeri non è difficile fare i conti, soprattutto considerando la situazione di partenza.

l’articolo che segue cita Left e Terra

il Fatto 4.8.10
Giornali. Sos a sinistra
di Mario Adinolfi

l taglio dei fondi all’editoria ha mandato in crisi i luoghi della comunicazione: tranne rarissime eccezioni, mancano denari, passione, idee. Uno stallo senza precedenti nella stampa italiana

L e testate chiudono. Sembra strano scriverne sul Fatto, praticamente l'unico quotidiano che funziona senza un euro di finanziamento pubblico, ma il taglio dei fondi all'editoria ha mandato in crisi i luoghi della comunicazione di sinistra. È un bene o un male? È un fatto. Allora partiamo dalle notizie. La notizia è la chiusura di Red Tv. Ma anche di Liberazione e degli Altri. O l'estrema difficoltà del Manifesto, di Europa e de l'Unità. L'irrilevanza di Left, Terra e YouDem. Il crollo di ascolti e di autorevolezza dell'Espresso o delle radio "di area". L'assoluta incapacità di varare progetti efficaci per la Rete, dal fallimento di Kilombo alla logica fighetta della cricchetta del Post. Sono notizie anche il collasso di copie vendute e risorse pubblicitarie raccolte persino da Repubblica, di telespettatori per il Tg3, persino di idee per i vari programmi "de sinistra" (avete presente la Dandini?) o per i cineasti (avete presente la povertà degli ultimi film di Salvatores e persino di Moretti?). Mancano denari, passione, idee. A me sembra che siamo davanti a una crisi comunicativa senza precedenti per quella che viene definita, per semplificare, "la sinistra". Certo, c'è qualche bella eccezione: penso proprio all'affermarsi del Fatto Quotidiano (che però secondo me non scorre nell'alveo della tradizione di sinistra classica, forse per questo ha successo); il valore indubbio di Michele Santoro e dei suoi programmi; la vena certamente di sinistra, ma di sinistra anarchica, del teatro di Ascanio Celestini; alcuni singoli blog graffianti per davvero (Piovono Rane di Alessandro Gilioli, su tutti); il segmento del giornalismo investigativo dell'Espresso. Ma, sono eccezioni. Appunto, la regola è la crisi. Endemica, devastante, di denari, di passione e di idee.
I professionisti del finanziamento
I PROFESSIONISTI del finanziamento pubblico. Non ci sono soldi: la sinistra non ha imprenditori della comunicazione, eccezion fatta per l'Ingegnere che però pare uno che dice "già dato". Ci sono arruffapopolo, parrucconi, professionisti del finanziamento pubblico, cacciatori di anticipazioni bancarie, veri e propri farabutti. Un coacervo di personalità che si autodefiniscono "imprenditori", in realtà è gente che non ha mai intrapreso un bel niente se non il tentativo di far pagare Pantalone. Renato Soru ha provato a fare l'imprenditore-editore caricandosi la rogna Unità, è scappato (inevitabilmente) a gambe levate. A destra ci sono imprenditori coraggiosi e non mi riferisco solo al comunque geniale (in questo campo) Silvio Berlusconi. L'esperienza di Vittorio Feltri (a lungo direttore-editore dei suoi giornali, finché l'Ordine non gli ha messo i bastoni tra le ruote), delle tante e belle realtà che fanno riferimento a Gianfranco Fini e non solo (FareFuturo.it, Caffeina Magazine, la Destra, Tocqueville, Libertiamo). Ma non divaghiamo. Redazioni senz'anima. La sinistra è stata capace spesso di far vincere le idee anche sulla mancanza di soldi. Ora però mancano i soldi e pure le idee. Si ricicciano vecchi copioni, si ragiona e si scrive con uno stile signora-mia oppure, peggio, finto-intellettuale-alto (di solito lo stile preferito dai complessati, leader e direttori senza laurea). Salvo poi recuperare in operazioni ammiccanti disastrose, stile rivalutazione dei Vanzina o Fassino dalla De Filippi. E la passione? Quella poi, definitivamente andata a farsi benedire. Le redazioni di sinistra sono piene di obbedienti senz'anima. Mi diceva un collega: "Ci hanno allevato come si fa con i cani, con il sistema premio-sanzione: se obbedisci ti tiro l'osso, se non obbedisci sono bastonate. Finché non impari e tutto diventa un riflesso condizionato. Abbiamo imparato". Yesmen (e yeswomen), ecco, questa immagine è terrificante ma vera.
Piccoli servi crescono
NELLE REDAZIONI siamo pieni di esecutori materiali delle poche direttive altrui, direttive che non sono idee ma tentativo di difesa dell'ordine costituito, dello status quo, delle gerarchie. I giovani talenti sono utili solo se si trasformano in yesmen (e anche yeswomen) totalmente acritici rispetto agli ordini che calano dall'alto, uccidendo ogni sorgere di spirito critico e dialettico. Qui c'è la radice del problema: l'assenza di donne e di uomini che sappiano, a sinistra, comunicare spiazzando. Non manca solo Pier Paolo Pasolini, ormai. Manca Flaiano e manca la Gagliardi, manca Scalfari e manca il primo Moretti. Mancano le gambe nuove su cui far camminare le idee nuove. Appena muovono due passi in autonomia, vengono azzoppate. Così Chiambretti si vende a Berlusconi, Riotta a Confindustria, Lerner a Tronchetti Provera. Povera sinistra, poveri noi. Ha vinto il diktat berlusconiano: per diventare comunicatore ti devi allineare, il modello più divertente è Pierluigi Diaco, il più amato dall'ultima dirigenza diessina, ora ovviamente il più amato dalla dirigenza Rai berlusconiana. Insomma, si può dire che al di là dei nomi citati, leccando il culo si fa carriera. E, ovviamente, si uccide ogni forza della comunicazione. Questo modello culturale ha vinto anche a sinistra. Effetto finale: il lettore, lo spettatore, il teleutente, annoiati guardano altrove. E, senza forza economica e senza forza di idee, la comunicazione a sinistra muore. Cosa fa il Pd? La prova provata sono i manifesti o il sito web del Pd (ad adiuvandum, leggete cosa scrivono i ragazzi di ProForma in materia), il dirigente Informazione di Sant'Andrea delle Fratte che fa le telefonate in Rai per spingere Tizio (che è un amico e bloccare il contratto di Caio (che parla troppo), la tv del partito che pare sovietica, quell'altra tv che faceva qualcosa di più sbarazzino che viene fatta chiudere dopo aver nominato il bravo curatore fallimentare "amico" che ha svolto il mestiere a puntino. E torniamo all'inizio, a Red Tv che chiude e non poteva che finire così in mano a "imprenditori" che vogliono far pagare solo Pantalone e leader politici come Massimo D'Alema che nel momento del bisogno dichiarano senza vergogna: "Red non è la mia tv".
Ci saremo chiamati così perché ci piaceva il rosso, forse. Ma la verità è che siamo finiti dentro la fase più acuta della crisi: di soldi, sì, ma soprattutto di uomini e di idee. Tira quest'aria, anzi infuria la bufera. Ma un altro modo di comunicare, anche a sinistra, è possibile. Va costruito. Più o meno da zero.

il Fatto 4.8.10
“Liberazione” rischia la chiusura e sciopera
Gli stipendi di agosto saranno versati in ritardo. Lo Stato non paga i crediti e in edicola vende poco
di Chiara Paolin

Non arriva lo stipendio? Facciamo sciopero. E chiediamo pure la cassa integrazione. A Liberazione, il quotidiano del Partito della Rifondazione Comunista, non era mai successo: oggi nelle edicole il giornale non c'è perché i lavoratori hanno deciso di fermarsi in attesa di chiarimenti sullo stipendio di agosto che, secondo un accordo firmato a fine luglio da azienda e giornalisti, subirà un ritardo. Spiega il direttore Dino Greco: "Chiariamo subito un paio di cose. Tutti i dipendenti sono stati pagati fino all'ultimo centesimo fino a oggi. L'accordo specifica che lo stipendio di agosto, in pagamento a settembre, subirà un ritardo perché il credito di 2 milioni che vantiamo dallo Stato come rimborso non è ancora materialmente disponibile. Il governo non si è preoccupato né in Finanziaria né in decreto milleproroghe di agevolare il pagamento del contributo che ci spetta e così siamo costretti a prevedere un ritardo nei pagamenti, tutto qua".
Eppure la nota diffusa dai rappresentanti sindacali della redazione risulta molto severa: “E' la prima iniziativa cui ci obbliga la sconcertante risposta della società editrice MRC SpA, nell'altrettanto e più sconcertante silenzio dell'azionista unico Partito della Rifondazione comunista e del direttore Dino Greco, alla denuncia pubblica del Cdr, della Fnsi e di Stampa Romana sull'illegittimità e l'insostenibilità di quanto annunciato dall'azienda al tavolo del 28 luglio: e cioè che a partire dal mese di agosto 2010 le lavoratrici e i lavoratori di Liberazione si trovano a dover prestare la loro opera senza più garanzia certa di retribuzione". E ancora, andando direttamente al cuore della questione finanziaria, un affondo degno di un pezzo sulle tante crisi aziendali di cui il giornale è solito occuparsi, parlando stavolta delle proprie buste paga: le 300 feste di Liberazione organizzate in tutta Italia e le altre iniziative di rilancio sono giudicate un mero placebo: "Iniziative limitate alla ‘promozione’ di abbonamenti e diffusioni straordinarie, oltre che di estemporanee raccolte fondi, che abbiamo già giudicato necessarie ma fortemente insufficienti, mentre si nega tuttora un piano di interventi industriali che preveda un ulteriore e ben più incisivo contenimento dei costi”.
Spiega meglio Anubi D’Avossa, membro del Cdr: “Noi vogliamo solo che il piano industriale sia credibile. Esigiamo chiarezza sui conti, innanzitutto. E poi crediamo la situazione sia molto seria: l’unico credito che abbiamo è un possibile rimborso statale da dare in pegno alle banche. Meglio puntare sulla versione on line del giornale e tagliare altre voci, come la diffusione”. Un’ipotesi che al partito magari non piace, ma la redazione vuole capire dove vada davvero a pescare i soldi il giornale per il prossimo futuro e minaccia lo strumento dell'astensione dal lavoro con richiesta contestuale di cassa integrazione straordinaria per stanare definitivamente l'editore MRC, ovvero Rifondazione comunista. "Non c'è alcun segreto, l'obiettivo anzi è chiarissimo: incassare finalmente il credito maturato e poi stare in piedi da soli risponde Greco -. Dal buco di 3,2 milioni di euro del 2008 siamo arrivati a un deficit di 300mila euro. Roba da lacrime e sangue: contratti di solidarietà, taglio brutale della foliazione, rinuncia totale alle collaborazioni onerose e forte limitazione della distribuzione. Uno sforzo immane, che però segna per tutti noi una possibilità concreta, direi l’unica: vivere di vendite, abbonamenti, pubblicità, finanziamenti statali e non più di partito. Una rivoluzione, un percorso faticosissimo. Ci mancano gli ultimi cento metri e mollare adesso sarebbe davvero un suicidio". Insomma i vecchi compagni devono affrontare il mare aperto del duro mercato editoriale, ma i numeri sono crudeli: 700 abbonamenti (più altri 200 appena raccolti con sottoscrizioni straordinarie), 4mila copie al giorno di vendita dichiarate e un organico non certo leggero (55 dipendenti, di cui 33 giornalisti).

il Fatto 4.8.10
Aldo Busi: “Hanno afflosciato la sinistra”
Altro che questi qui, servirebbe Fini
B? Il suo è un potere impotente

“La sinistra ormai sembra senza futuro. Mi rendo conto che potrebbe stupire qualcuno, ma l’unica speranza di chi vorrebbe in Italia qualche diritto e un sistema di regole di respiro europeo ha il nome di Gianfranco Fini”. Premessa. Sentendolo parlare di politica alla Zanzara, su Radio 24, ieri, ero rimasto folgorato. Infatti Aldo Busi, “il più grande scrittore italiano vivente” (autodefinizione storica che ormai nessuno può rifiutarsi di sottoscrivere) è convinto che la svolta del leader di An sia credibile anche per un progressista libertario come lui. Ed è convinto anche che l’unica possibile chiave di interpretazioni delle leadership politiche risieda nel retroterra erotico della politica.
Busi, lo ammetta. Sentirla parlare male del Pd e bene di Fini è una cosa che non può non stupire...
Sa, il trauma risale al giorno delle elezioni. Ero pronto ad andare a votare Pd, quando sento questa terrificante dichiarazione di Bersani: ‘Sono contrario al matrimonio fra omosessuali’.
E la cosa l’ha sorpresa?
Oh sì. In primo luogo perché era inutile, non glielo chiedeva nessuno. Poi perché non aveva senso dirlo: nemmeno La Russa direbbe una cosa così e infatti non l’ha mai detta. Sono affermazioni talmente stupide che si giustificano solo con il bisogno di ossequiare le gerarchie ecclesiastiche.
Pensa davvero che fosse quello l’obiettivo? Ma certo. Dentro di me ho pensato: ma che cazzo vai a dire! Non ho più votato.
Però, ad essere rigorosi, anche Fini disse delle famosissime frasi contro i maestri omosessuali...
Frasi orribili. Però in un altro secolo. Non le scuso e non le dimentico. Ma non intendo nemmeno inchiodare Fini al suo passato.
No?
Ma no! A me oggi interessa il presente e, se possibile, il futuro. E sa cosa le dico? Che conta il percorso di Fini negli ultimi anni: il viaggio in Israele, la rottura sulle legge razziali, le posizioni avanzate sulla bioetica e sui diritti civili che mi fanno intravedere la possibilità di una destra moderna e finalmente europea. Insomma, Fini la convince. Pensi: non pretende di pontificare sulla religione, sulla vita di Eluana Englaro, vuoi per calcolo o vuoi per astuzia, ha fatto un percorso inve rigenti democratici. E poi... Cosa ancora? È stato l’unico dentro il Pdl a dare bacchettate al Vaticano ricordandogli che non deve intromettersi nelle vicende dello Stato italiano. Parole sacrosante. Lei sostiene che potrebbe addirittura votarlo.
E perché no? Se Fini avrà un anno di tempo potrà addirittura raggiungere il 12%. Torniamoallasinistra.Leiun anno fa disse: la destra è femmina, la sinistra è maschile. Ovvero: piena di dubbi, ossessionata come il maschio dalla paura di non essere abbastanza virile.
È così vero che le lancio questa provocazione. Io ho un problema: i leader della sinistra non riesco a immaginarmeli mentre fanno sesso. Prodi, Veltroni, Franceschini, sembrano sempre asessuati,flosci,piùvecchidellaloro età, non seduttivi.
Addirittura…
Mi perdoni la brutalità, ma lei riesce a immaginarsi Veltroni che monta una donna? Io no. Fanno figli, certo, solo per adattarsi alla domanda di presentabilità sociale che chiede ad un politico di esibire uno straccio di famiglia. Eppure lei non ha cambiato le sue idee.
Io sono e resto profondamente, intimamente di sinistra. Ma sono deluso da questa sinistra
senza carisma, passione.
Non le piace neanche Vendola, è così?
Sono rimasto deluso da una sua dichiarazione: quella secondo cui sarebbe un omosessuale morigerato. È come una sorta di excusatio non petita. Cosa vuol dire? Che gli altri omosessuali sono non-morigerati? O che lui ha un partner fisso e gli altri no? Forse è condizionato dal suo dichiararsi continuamente cattolico. Salvo il rapporto con i minori e il ricorso alle prostitute, la sessualità è un fatto squisitamente personale.
Anche Fini si presenta come cattolico. Sì, ma con un tono di modernità per cui questo aspetto non è dirimente. Piace infatti alla piccola borghesia del Nord, agli imprenditori che hanno bisogno di legalità e di regole di mercato. E invece finché ci sarà il berlusconismo è chiaro che per qualsiasi appalto ti devi rivolgere all’amico dell’amico.
Lei dice che non le interessa la sessualità privata dei politici, però su quella di Berlusconi ha detto parole di fuoco.
Ho detto che escludevo l’abuso sui minori, contro cui combatto una battaglia trentennale, e l’uso delle prostitute. Proprio ieri, rileggendo i verbali della escort Terry De Nicolò a Palazzo Grazioli, ho trovato un’altra traccia di questo nella storia di Berlusconi
Provo a provocarla: un libertario come lei censura una scelta privata?
Perché la leggo come un indizio terrificante di decadenza. E perché vedo in questo tentativo di ridicola esibizione erotica, la speranza di usare la leva consunta del sesso, per rafforzare quella traballante del potere. Siamo dalle parti di Morte a Venezia e di Thomas Mann...
Addirittura.
Ma scusi, un uomo di 73 anni ancora schiavo dell’illusione del virilismo! Siamo nel ridicolo e nel grottesco.
Una invettiva.
Mi fa pena, mi fa tristezza. Vede, io sono un uomo ancora bello, ma anziano... È una cosa che intenerisce e deprime che un vecchio ceda alla tentazione senile dell’efebo e della giovinetta. Nel caso di Berlusconi si parla di giovinette, non di efebi.
È lo stesso! Anzi, è peggio. Questa non è una visione della femminilità. È la sublimazione del decadimento nella speranza di una giovane vita. Quelle sono donne che si fingono donne per mestiere.
Eravamo partiti dalla politica siamo finiti al sesso. È inevitabile. Perché in tempi di decadimento morale e intellettuale il sesso resta l’unico sostrato possibile della politica. L’unica chiave che aiuta a capire qualcosa.
E che cosa si capisce?
Che il potere, soprattutto il potere di Berlusconi, esibisce virilità per nascondere debolezza. È un potere impotente. Sono incantato, prosegua.
È una perversione che conosco, il cannibalismo del sesso. Più mangi e più hai fame. Ma quelle donne cannibalizzate dal Cavaliere non sono donne, sono fantasmi. Vede, se io penso a una donna con cui potrei fare sesso mi immagino una farmacista, una panettiera, la vita... Non puttane che per soldi si fingono donne e si vestono da catechiste pervertite.
Lei ha dato dell’impotente al premier. Non è un’ingiuria. Lo sono pure io. Il sesso come esercizio ginnico ormai mi annoia. L’erotismo è il fallimento della sessualità. E l’erotismo delle damine bianche di Berlusconi è un erotismo per vecchi satiri di bocciofila.

Corriere della Sera 4.8.10
Il misterioso biologo all’addio di Carlo Marx
Perchй il conservatore Lankester era tra i familiari del filosofo?
di Paolo Di Stefano

Nel settore dei «dannati», cioè degli atei, dell’ Highgate Cemetery di Londra fu sepolto, il 17 marzo 1883, il corpo di Karl Marx. L’autore del Capitale era morto tre giorni prima di tubercolosi e fu il suo amico Friedrich Engels a constatarne per primo il decesso, trovandolo seduto sulla sua poltrona con gli occhi chiusi. Il funerale fu una cerimonia breve e sobria, cui parteciparono pochissimi, il che, considerata la fama di Marx, fa un certo effetto. Sul numero esatto dei convenuti al rito funebre c’è qualche discordanza, ma di sicuro non si andò oltre le undici persone. Lo scienziato Stephen Jay Gould, che all’argomento ha dedicato un saggio (contenuto in I Have Landed, edito in Italia da Codice), fissa le presenze a nove, ma dimenticando una figlia e aggiungendo per errore la moglie del filosofo, Jenny, che era morta da quasi due anni. Quel giorno a Highgate c’erano di certo Engels, autore dell’orazione di commiato pronunciata in lingua inglese, le due figlie di Marx ancora in vita, Eleanor e Laura, i due generi francesi — Charles Longuet, che era stato membro della Comune di Parigi, e il rivoluzionario Paul Lafargue — e alcuni amici di vecchia data del defunto, tutti socialisti e attivisti. Eccoli: Wilhelm Liebknecht, fondatore e leader del Partito socialdemocratico tedesco; Friedrich Lessner, condannato a tre anni di carcere nel processo contro i comunisti celebrato a Colonia nel ’52; Georg Lochner, che Engels definì «un vecchio membro della Lega comunista»; Carl Schorlemmer, professore di chimica a Manchester e rivoluzionario a Baden nei moti del 1848. Un «parterre» sparuto ma molto coerente con la personalità del caro estinto. C’era pure, probabilmente, la domestica, Helene Demuth, da cui Marx ebbe un figlio. Del nono convenuto certo, Gould parla come del classico «cavolo a merenda». Si trattava di un tale E. Ray Lankester, trentaseienne biologo evoluzionista britannico, allievo di Darwin, un intellettuale conservatore che avrebbe vissuto qualche periodo di celebrità ma destinato a cadere nell’oblio dei posteri sia come scienziato sia come divulgatore. A che titolo era lì? Non era della famiglia, non apparteneva al giro politico di Marx, non ne era neppure simpatizzante e anzi il suo identikit intellettuale sembrava portarlo verso strade opposte. Squadernando il suo cursus honorum — lauree, cattedre, pubblici riconoscimenti che lo portarono alla direzione del Museo di Storia Naturale — Gould lo colloca «tra i più celebrati e boriosi scienziati britannici tradizionalisti e socialmente eminenti», chiedendosi che cosa potesse aver avvicinato due persone tanto diverse come lui e il filosofo tedesco. Del resto, Marx, grande estimatore (fino a un certo punto della sua vita) di Darwin, non aveva però una propensione verso la scienza tale da considerare il grigio erede dell’evoluzionismo Lankester come un possibile sodale. L’interesse e la competenza di Engels in campo scientifico erano immensamente superiori a quelli, tutto sommato dilettanteschi, dell’amico Karl. Si sa, da alcune brevi lettere di Lankester, che Marx lo avvicinò inizialmente, nel 1880, per chiedergli consigli medici in merito al cancro al seno da cui era stata colpita la moglie. Gli fu suggerito di rivolgersi al dottor H.B. Donkin, il quale si occupò con competenza della signora Marx e in seguito avrebbe curato il marito, affetto dalla tubercolosi che gli sarebbe stata fatale. Probabilmente, il filosofo conobbe il giovane scienziato attraverso un amico comune, archeologo a Cambridge, Charles Waldstein. Costui, ventenne, incontrò Marx una domenica pomeriggio del 1877 in casa della scrittrice George Eliot e da allora frequentò la sua famiglia con regolarità: Waldstein avrebbe poi ricordato il vecchio filosofo come «un uomo grandissimo, che era una miniera di conoscenze profonde e accurate in ogni campo», una persona che «sembrava trarre un enorme piacere dalla semplice freschezza del mio giovanile entusiasmo e si interessò a tal punto alla mia vita e al mio benessere che un giorno propose che diventassimo Dutz-Freunde ». Quest’ultima espressione tedesca indica il confidenziale darsi del tu tra amici. Davvero sorprendente, all’epoca, che un settantenne tanto autorevole chiedesse a un ragazzino di abbandonare ogni formalità e di dargli del tu. Per sciogliere l’enigma sulla presenza di un «massiccio, imponente relitto della biologia vittoriana» come Lankester al cimitero di Londra il 17 marzo 1883, secondo Gould bisogna partire da Waldstein. Stupirsi di fronte alla mancata sintonia politica tra Marx e lo scienziato («Un molto grasso e con la faccia da ranocchio», lo ricordava il figlio di Waldstein) che andò a rendergli l’estremo saluto, è in realtà fuorviante: «Quando ci chiediamo perché un biologo fondamentalmente conservatore come Lankester poteva aver apprezzato e tenuto in gran considerazione la compagnia di un vecchio agitatore come Karl Marx, fatichiamo a non guardare quest’ultimo attraverso le lenti delle successive catastrofi umane perpetrate in suo nome — da Stalin a Pol Pot». Lo stupore nascerebbe, insomma, da un doppio preconcetto: che «il vecchio agitatore» fosse da evitare come la peste e che il conservatore Lankester fosse talmente miope da ignorare l’eccezionalità intellettuale del filosofo. La distanza storica e la consapevolezza postuma rischiano di distorcere la verità, mentre i ricordi di Waldstein finiscono per rivelare quanto all’ideologo ormai malato e depresso desse sollievo la compagnia di giovani pieni di entusiasmo e di curiosità intellettuale. Non mancano le testimonianze in tal senso: sentendo avvicinarsi la fine, Marx divenne sempre più insofferente verso i coetanei; al contrario, come ha scritto un suo biografo, accoglieva con generosità «i giovani colleghi che cercavano aiuto e consiglio». Il futuro pallone gonfiato E. Ray Lankester era uno di questi.

l’Unità 4.8.10
Intervista a Enrico Rossi
«No al voto subito. Il Paese rischierebbe una deriva autoritaria»
Il presidente della Toscana: sì al governo di transizione proposto da Bersani Tremonti? «Uno degli obiettivi è cambiare la sua manovra, come può farlo lui?»
di Vladimiro Frulletti

Soddisfatto nel vedere che la fortezza berlusconiana sta crollando. Ma anche preoccupato. Perché per il presidente della Toscana, Enrico Rossi, questa crisi politica e istituzionale sommata alla crisi economica potrebbe sfociare in una deriva autoritaria e reazionaria. Berlusconi ce la farà ad arrivare al 2013?
«C’è da provare soddisfazione nel vedere come che questa compagine di governo che appariva una fortezza indistruttibile, in grado di superare ogni avversità, si stia inclinando e stia implodendo».
Merito di Fini?
«Io ci vedo gli effetti della questione morale che ogni giorno assume contenuti più forti e poi, certo, c’è anche una leadership autoritaria alla quale non tutti sono stati più disposti a soggiacere a tutti i costi».
Si deve andare a votare subito?
«Mi pare che la situazione sia densa di pericoli per la democrazia. C’è un intreccio molto stretto tra la questione democratica e la questione economica e sociale».
Che cosa teme?
«Che le elezioni subito possano diventare la grande occasione per una svolta autoritaria nel Paese». In che modo? «Questa legge elettorale consente a Berlusconi di fare liste totalmente asservite a lui. E se insieme a Bossi ottiene la maggioranza assoluta del Parlamento pur con solo il 40% dei voti, cosa possibile, allora potrebbe diven-
tare il nuovo Presidente della Repubblica. Così la svolta autoritaria si completerebbe. Anche perché la crisi economica e questa manovra del governo stanno portando il Paese in una condizione di forte tensione sociale, di difficoltà estrema in cui una leadership autoritaria potrebbero apparire la soluzione».
No alle elezioni, sì al governo tecnico?
«Sì a un esecutivo di transizione come ha proposto da Bersani». Per fare cosa? «Per fare la riforma elettorale dando ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti impedendo così a Berlusconi di fare liste di soli asserviti. E poi fare una manovra equa che tuteli i più deboli i cui diritti, dal lavoro al salario, allo stato sociale, sono colpiti dai tagli del governo». Una soluzione del genere è davvero possibile?
«La proposta di Bersani ha una sua forza. È una soluzione ponte verso elezioni, deve stare in campo, altrimenti c’è il rischio di avventure». Econchisifa?
«Con chi crede che il Paese ha bisogno di una manovra più equa e che a cuore le istituzioni repubblicane e la democrazia parlamentare. E soprattutto col Paese».
Cosa intende?
«Che per difendere la nostra democrazia serve una vera mobilitazione popolare, tra i lavoratori e tra chi il lavoro l’ha perso. Tra le aziende e le imprese che soffrono la stretta creditizia. È un lavoro che deve fare il Pd propagandando soluzioni alternative a una manovra che impoverisce il Paese. Dobbiamo proporre che ci sia più equità, che sia veramente combattuta la piaga dell’evasione fiscale, che ci sia un piano per dare un futuro ai giovani e sostegni a chi fa impresa». Si dice che a Bersani andrebbe bene anche Tremonti presidente del consiglio, l’importante è evitare le elezioni anticipate?
«Per lui Berlusconi è solidissimo, non vedo come possa fare il premier di un governo di transizione. Anche perché oltre alla legge elettorale c’è da cambiare la manovra che ha fatto lui».
I finiani sul caso Caliendo hanno già trovato un’intesa con l’Udc e Rutelli per l’astensione sulla richiesta di dimissioni avanzata da Pd e Idv. Alla fine non succederà che saranno i centristi a allontanarsi dall’opposizione di centrosinistra?
«Ora i fatti dicono che in Parlamento la maggioranza berlusconiana si è ristretta. Non è un fatto da sottovalutare anche perché pure la Lega non è così compatta su questi temi della legalità ci sono evidenti contraddizioni tra i leghisti».
Bossi vuole portare a casa il federalismo. «Fin qui il federalismo, al di là delle vuote parole, è stato tagli su regioni e enti locali che si tradurranno in tagli nei servizi per i cittadini. Per me invece federalismo è ad esempio che le Regioni possano partecipare alla lotta contro l’evasione fiscale, trattenendo in cambio una quota di quanto recuperato».
Chiamparino a l’Unità ha detto che il Pdnonèprontonéperilvotonéperil governo di transizione. Lei che ne pensa?
«Che dobbiamo radicarci, diventare un vero partito popolare che sta nel mondo del lavoro, impegnato quotidianamente nella battaglia per l’emancipazione e l’inclusone sociale. Per questo servono tempi lunghi. Però la proposta politica del governo di transizione c’è e abbiamo gli uomini competenti per gestire una situazione critica come questa. Ne abbiamo più di quanti possa vantarne il centrodestra che da 90 giorni non è in grado di esprimere il ministro dell’industria».
Anche nel centrosinistra c’è chi chiede elezioni subito. «Non vorrei che qualcuno pensasse solo alla possibilità di racimolare qualche voto in più, magari a scapito del Pd».
Ce l’ha con Di Pietro e Vendola?
«No, ma vorrei da parte di tutti e una maggior e disponibilità di farsi carico delle questioni nazionali». Se si vota chi dovrà candidare il centrosinistra?
«Le discussioni sulla leadership le trovo stucchevoli e pericolose, anche perché sono indotte dall’esterno. Questa rincorsa sui nomi è sbagliata: si dà l’idea al nostro popolo che siamo più interessati alle poltrone che ai problemi delle persone».
Ma un candidato prima o poi dovrete pur sceglierlo. «Quando ci saranno le primarie ci confronteremo».
Vendola si è già candidato.
«Ognuno può autocandidarsi. Come Pd però dobbiamo esigere più rispetto verso di noi e dobbiamo avere più rispetto per noi stessi. Dei nostri processi democratici. Abbiamo fatto i congressi e poi le primarie con milioni di persone che si sono pronunciate su un nome e una linea. Noi il candidato l’abbiamo già».
Bersani?
«Certo, almeno finché qualcuno non rimetterà in discussione lo statuto. Non c’è partito se non c’è rispetto per il nostro stesso lavoro. Non saremmo capiti dal nostro popolo che s’è messo in fila, ha pagato i suoi euro e ha votato».
E Vendola?
«I cittadini pugliesi l’hanno eletto per fare il Presidente della Puglia».

Repubblica 4.8.10
Il potere dei chierichetti
Così cresce la chiesa dei ragazzini
di Jenner Meletti

La carica dei chierichetti, che ora si chiamano "ministranti": in 50 mila, maschi e femmine, provenienti da tutta Europa per un pellegrinaggio di due giorni che culmina oggi nell´incontro con Benedetto XVI Non più "preti in miniatura", ma movimento organizzato che punta a incidere sulla società

Hanno tra i 14 e i 25 anni, e arrivano da 17 nazioni, ognuna contraddistinta da un diverso foulard
Il loro "lavoro" non è più solo servizio al sacerdote, ma scuola di liturgia e di formazione
La delegazione più corposa quella tedesca: un esercito di 44 mila giovani. 1300 gli italiani
A differenza del passato, l´obiettivo non è più solo cercare vocazioni sacerdotali.
Il loro parroco, don Elio Piccolo, li guarda come fossero pepite d´oro. «Anch´io servivo Messa, ho cominciato a 6 anni. Stare accanto all´altare e al prete può aiutare la vocazione. Adesso ho una decina di chierichetti. Un paio mi hanno già accennato a un futuro da sacerdoti».
Ecco, un tempo tutto era più semplice. Il chierichetto veniva vestito come un piccolo prete, suonava il campanello alla consacrazione e portava il turibolo con l´incenso, così poteva innamorarsi di un futuro in abito talare. Adesso tutto è cambiato (in apparenza). Innanzitutto il nome. Chierichetto è in teoria parola del passato, finita con il Concilio Vaticano II. Questo è infatti il «Pellegrinaggio dei ministranti», dal latino «ministrans», colui che serve. Non più un prete in miniatura ma un giovane che partecipa attivamente alla liturgia con l´obiettivo principale di diventare un buon cristiano. Ci sono però numeri che raccontano la difficoltà di questa trasformazione. Gli italiani, a questo pellegrinaggio, sono un secchio d´acqua nel mare: 1.300 in tutto. I tedeschi sono invece 44.000. I ministranti della piccola Austria, ad esempio, sono più del doppio degli italiani.
Monsignor Martin Gachter, vescovo ausiliare di Basilea e presidente europeo del Cim (Coetus internationalis ministrantium), ha le idee chiare. «In Germania i ministranti sono 440.000, e non per caso. In quella Chiesa sono sempre più importanti. Ogni diocesi ha una pastorale loro dedicata e c´è un coordinamento nazionale. Ogni vescovo ha uno o due responsabili dei ministranti. Ma non è solo questione di organizzazione. Dopo il Concilio, la Chiesa tedesca ha aperto subito le porte alle ragazze e ha capito che quella del ministrante non è una cosa da bambini. Gran parte degli ex chierichetti tedeschi resta attiva fino alla fine dell´università. I ministranti hanno giornali, radio e trasmissioni in tv. Chierichetto o ministrante non è una questione di parole. Chierichetto in Italia vuol dire piccolo chierico, così come, con un altro nome brutto, in Spagna i bimbi che servivano la Santa Messa si chiamavano monachini. In Italia questa nuova figura non avanza perché è troppo legata ai seminari, come nel passato. Il primo obiettivo è quello di trovare vocazioni sacerdotali, mentre in Germania questo non è la priorità. Lì vogliono formare giovani cristiani convinti, laici, preparati. Il ministrante è diventato una figura tanto nota che nelle televisioni ci sono showmen che si vantano del loro passato al servizio dell´altare».
I ministranti sono la prima organizzazione cattolica della Germania e nella Chiesa hanno conquistato spazi e potere. Diventano accoliti (possono distribuire la Comunione), lettori, animatori, catechisti. Tutte le attività della parrocchia sono nelle loro mani: il sacerdote ormai è un coordinatore, cui resta la sola «esclusiva» della consacrazione dell´Eucarestia. In Italia il cammino dei chierichetti - ministranti verso il potere è ancora lungo. «Ma qualcosa - dice don Carlo Ballerini, parroco a Firenzuola - sta cambiando anche da noi. I miei chierichetti - sì, io continuo a chiamarli così - sono bimbe e bimbe di quarta e quinta elementare e il loro "lavoro" non è più solo servizio al prete e all´altare ma una scuola di preghiera, di liturgia e di formazione cristiana. Certo, potrebbe nascere anche qualche vocazione, ma formare famiglie cristiane non è certo un obiettivo minore. Spero che facciano i chierichetti, scusi, i ministranti, fino a trent´anni, magari da sposati».
Ieri appuntamento prima in San Paolo fuori le mura poi in piazza San Pietro. Stamattina l´udienza con papa Benedetto XVI. «In Italia - dice Adelindo Giuliani, dell´ufficio liturgico del vicariato di Roma e organizzatore della parte italiana del pellegrinaggio - l´età dei ministranti è compresa fra gli 8 e i 18 anni. Si comincia alla Comunione, si finisce con la Cresima. In Germania cominciano alle superiori, a 15 anni e vanno fino al termine dell´università. Noi abbiamo forti limiti perché la pastorale dei ministranti in troppe diocesi non esiste. Non c´è nemmeno un centro nazionale. Ci sono stati ritardi nell´ingresso delle bimbe e delle ragazze. Dovrebbe essere deciso da un decreto del vescovo ma i decreti non arrivano e ogni parroco decide di testa sua. Certo, da noi il primo obiettivo resta quello di cercare e promuovere vocazioni - anche per le ragazze, che potrebbero diventare religiose - ma non siamo fermi al passato. Non si guarda solo a ciò che i ministranti faranno da grandi ma a ciò che stanno facendo. E di loro c´è davvero bisogno. Dopo il Concilio, ci siamo illusi che con la traduzione in italiano del Messale la liturgia fosse aperta e compresa da tutti. Non è così. Cosa significa pregare assieme? Cosa significa cantare? E la processione per prendere la Comunione? C´è gente che la taglia come fosse in fila alla posta. Il servizio dei ministranti è necessario perché è pedagogia liturgica».
Seminare chierichetti per raccogliere preti non sembra però obiettivo solo dei parroci italiani. Papa Ratzinger, al raduno di quattro anni fa, fu esplicito. «Forse Cristo a qualcuno di voi dice: voglio che mi serva in modo speciale come sacerdote». Papa Wojtyla, all´incontro del 2002, disse: «Ho parlato dell´amicizia con Gesù. Sarei contento se da questa amicizia scaturisse qualcosa di più. Come sarebbe bello se qualcuno di voi potesse scoprire la vocazione al sacerdozio». Oggi, davanti a papa Benedetto XVI, cantando l´«Inno dei ministranti», i ragazzi risponderanno così. «E se poi da te sarem chiamati/per essere a te consacrati/rispondendo pronti alla tua voce/seguiremo con gioia la tua croce».
Chi rimpiange i preti in miniatura è stato accontentato con il primo spettacolo per i chierichetti italiani: «La stola e la croce», dedicato a Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato d´Ars, protettore dei parroci. In scena, i seminaristi del Pontificio collegio Leoniano di Anagni. «Io credo - racconta Lorenzo Ucciero, primo anno di teologia - che certi messaggi siano ancora utili. Io ho fatto il chierichetto per anni, e ricordo le parole di una suora che era la nostra animatrice. "Pensate che prodigio", diceva. "I chierichetti sono come gli angeli. Loro stanno in cielo attorno a Dio e voi qui attorno all´altare". Quelle parole mi sono sempre rimaste dentro e hanno aiutato la mia decisione di entrare in seminario». La Germania con il quasi mezzo milione di ministranti sembra davvero lontana. Nelle parrocchie si inventano iniziative che ancora sanno di oratorio. Come il «Chirichettometro», che assegna punti per ogni Messa servita, 6 per la feriale, 4 per la prefestiva e 2 per quella della domenica. O il gioco al computer per «mettere in fila» tutti i momenti della Messa, dal Confesso alla benedizione finale.
Forse i chierichetti non spariranno mai. Non fino a quando ci saranno bambini come Guido e Duccio, arrivati con don Carlo da Firenzuola. Hanno 11 anni e dicono che «quando erano piccoli» erano invidiosi dei bambini che sull´altare indossavano la veste bianca. «Abbiamo cominciato così, tre anni fa, ma adesso facciamo i chierichetti per passione. Con don Carlo di ride, si fanno le gite, si sta con gli amici». Si consultano sottovoce poi dichiarano: «Però siamo chierichetti anche per stare vicino a Gesù».

Repubblica 4.8.10
Quel collegamento tra prete e fedele passivo
Viaggio tra i ragazzi che stanno conquistando un nuovo ruolo nella Chiesa. Sempre più centrale
di Giancarlo Zizola

I chierichetti avranno anche le "vie pericolose" del film di Peter Care sugli "altar boys", ma si farebbe torto alla loro storia a ridurli ai ragazzetti che strimpellano il campanello ai piedi dell´altare nella fase culminante della messa, dimenano il turibolo, spostano il messale da un corno all´altro e porgono al prete le ampolline. Intanto non sono più solo i "piccoli chierici", allevati ai misteri dell´altare, sono anche degli adulti della comunità cristiana che accettano di fare questo servizio, una corrente particolarmente solida nelle chiese di tradizione francese e anglosassone. Poi a partire dal Concilio Vaticano II hanno cominciato a ridefinire la loro identità di "ministranti", sostituendo quella clericale di "piccoli chierici". Un inizio che sembrava promettente, a chi cercava di cogliere nella loro presenza una simbolica delega ministeriale dell´intera comunità cristiana riunita intorno all´altare a celebrare i misteri.
È fuori dubbio che Roma abbia puntato sui bambini per questo servizio. Nella storia della pietà sono stati i chierichetti a rompere l´isolamento devozionistico con cui la pietà barocca aveva distanziato gli Ostensori d´oro dalla cultura del popolo. Nella seconda metà del XVIII secolo parte quel vasto movimento liturgico che mira a riscoprire i legami tra la Chiesa e l´eucarestia e a valorizzare il senso dell´assemblea liturgica. L´altare cessa di essere un monopolio del prete, che mormora le formule rituali mentre la gente sgrana il rosario. La messa comincia a non essere più solo spettacolo sacro, senza partecipazione attiva dei fedeli. Solo il celebrante allora si comunicava, a volte assistito da un´unica persona, quella che gli serviva la messa.
Il pontificato di Pio X decide di anticipare l´età auspicabile per la prima comunione a sette anni. Di più, il culto eucaristico diventa movimento, grazie al fatto che viene preferita la celebrazione collettiva all´incontro individuale. Il Congresso eucaristico mondiale di Lourdes nel 1914, il primo che coinvolga l´intera cattolicità, lancia la crociata eucaristica internazionale dei giovani. Fanno la loro comparsa le Leghe eucaristiche per bambini. La prima guerra mondiale potenzia il movimento destinato ai bambini che vengono fatti pregare davanti all´ostia per la salvaguardia dei loro familiari e per la pace. Grazie allo zelo degli animatori e al sostegno del Vaticano, specialmente tangibile sotto Pio XII, la crociata eucaristica raggiunge verso il 1950 molte centinaia di migliaia di bambini.
È l´immensa platea organizzata da cui la Chiesa recluta e forma con particolari modalità di catechesi i ministranti. Essi sono incaricati di rappresentare la linea di ricucitura della frattura tra il prete che celebra e il fedele passivo che si limita ad assistere. Su quella cerniera si è riverberata anche la questione della partecipazione della donna al servizio dell´altare. La questione delle "chierichette" ha fatto irruzione già verso la fine del Novecento negli attriti tra Santa Sede e alcune Conferenze episcopali nazionali, tra le quali quella degli Stati Uniti. Nel 1992 il Pontificio Consiglio per l´interpretazione dei testi legislativi risolse positivamente il dubbio se "tra le funzioni liturgiche che i laici, uomini e donne, possono esercitare si può includere anche il servizio all´altare". Nel luglio di quello stesso anno Giovanni Paolo II confermava tale decisione e ne ordinava la promulgazione. Ma poiché la presenza delle ragazze tra i ministranti continuava a suscitare dissensi tra i vescovi, interveniva nel 1994 la Congregazione per il Culto Divino la quale con una lettera firmata dal cardinale Javierre Ortas confermava il via libera alle chierichette, sotto la responsabilità di ogni singolo vescovo, ma coglieva l´occasione per ricordare che "sarà sempre molto opportuno di seguire la nobile tradizione del servizio all´altare da parte dei ragazzi". E quale la ragione invocata? "Come è noto, ciò ha permesso uno sviluppo consolante delle vocazioni sacerdotali".
Chierichetti dunque, e ancora subalterni a una prospettiva strumentale di selezione del clero. L´ipotesi dell´ordinazione della donna, già acquisita nella Comunione anglicana, continua a essere rifiutata dalla Chiesa cattolica. Di fatto, un´evoluzione è visibile: le donne provvedono in un numero crescente di comunità alle assemblee di preghiera, alla distribuzione dell´eucarestia come ministre straordinarie, a svolgere funzioni liturgiche ministeriali, a leggere i testi biblici nella messa.
Se tutto questo fa cadere l´ancestrale tabù dell´impurità sacrale della donna, resta pervicace lo stereotipo sulle chierichette. Al punto che di nuovo la Congregazione per il Culto Divino è dovuta intervenire nel 2001, sulla "eventuale ammissione di fanciulle, donne adulte e religiose come ministranti nella liturgia". E la risposta è stata: ogni vescovo "ha l´autorità di consentire il servizio delle donne all´altare, nell´ambito del territorio affidato alla sua guida". Comunque, in nessun caso tale autorizzazione può escludere gli uomini e in particolare i fanciulli né obbligare i preti a ricorrere a ministranti di sesso femminile. In ogni caso Roma raccomanda che l´innovazione venga spiegata chiaramente ai fedeli. Il sogno luterano del "sacerdozio comune dei fedeli" - ripreso anche dal Vaticano II - deve limitarsi per ora a camminare con i piedi dei chierichetti. E con prudenza anche delle chierichette.

Repubblica 4.8.10
"Sposerò Nichi Vendola", il film

"Ma non è un manifesto elettorale"
di Carmine Saviano

E' diretto da Andrea Costantino, sarà presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. Storia di una famiglia sull'orlo della bancarotta che ripone, nel governatore della Puglia, le speranze per un futuro migliore. Il regista: "Racconto l'assenza delle istituzioni e la politica che non riesce a dare risposte

ROMA - Chi era una teen-ager negli anni '80 storcerà il naso. Troverà il paragone fuori luogo, inopportuno. Forse le più intransigenti penseranno a una profanazione. A un accostamento in odore di blasfemia. Ma tant'è: dimenticate il patinato sir Simon Le Bon da Londra. E sostituitelo con il governatore della Puglia, Nicola Vendola detto Nichi, nato e cresciuto a Terlizzi, provincia di Bari. Il risultato? Sposerò Nichi Vendola, cortometraggio di Andrea Costantino, in concorso nella sezione "Controcampo italiano" alla 67esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
Non si tratta di un semplice scambio di persona. Nel senso che non si troverà Vendola nella boy band di turno mentre tra strilli, scene di panico collettivo e ammiccamenti alle telecamere, fa strage di cuori canticchiando il ritornello di Hungry Like a Wolf. Né sir Simon in giro per l'Italia in cerca di connessioni sentimentali, candidato alle primarie del centrosinistra o che diventa imprenditore del dissenso con le "Fabbriche di Simon". Tutt'altro. Per Andrea Costantino l'accostamento segue una logica profonda, amara. "Sono due leader, due speranze". 
Basta guardare le prime scene del cortometraggio. Le spiega lo stesso Costantino. Siamo a Bari, nel 2008, la famiglia Amoroso è sull'orlo della bancarotta. Rischia di perdere la casa. Le emozioni sono raccontate e filtrate attraverso gli occhi delle donne della famiglia, strette tra disperazione e necessità di trovare una soluzione, una via d'uscita. Una fotografia di ciò che nel Meridione succede sempre più spesso. Crisi vissute in solitaria. Con le istituzioni assenti e la politica dei partiti che non riesce a fornire risposte, soluzioni. Ecco perché chiamare in causa Vendola. "Sposare Nichi", la sua politica, le sue idee diventa, almeno nel film, l'ultima speranza di riscatto.
"Ho conosciuto Vendola fugacemente nel 2003. L'ho rivisto altre volte ma sempre di fretta", dice Costantino. Poi la folgorazione durante l'ultimo comizio della campagna elettorale del 2005 per le elezioni regionali in Puglia. E l'idea di Sposerò Nichi Vendola che prende corpo. "Lui non ha visto il cortometraggio, ma spero davvero che possa apprezzarlo". Poi la precisazione: "Ho grande stima per lui ma il mio racconto non è un manifesto elettorale". 
Cinema e realtà s'incrociano. Ne è testimone lo stesso Andrea Costantino, regista del Sud. Gli chiediamo di raccontare il suo rapporto con le istituzioni, con la politica. "Questo è un momento difficile a causa della crisi economica e forse ci sono problemi più grandi del cinema - dice - però le istituzioni ci sono, e io sono uno dei fortunati a poterlo dire. Ma ci sarebbe molto ancora da investire. Dobbiamo fare più squadra noi della categoria".
Non è la prima volta che Costantino racconta la Puglia. "Nel 1991 ho girato il mio primo documentario sull'incendio del Teatro Petruzzelli". Poi una carriera fatta di tanti riconoscimenti. "Nel 2001 il mio primo cortometraggio, E' nato Carlo, selezionato da Nanni Moretti per il suo Sacher Festival. Nel 2004 arriva Il provino, che ottiene una menzione speciale ai Nastri d'Argento e oltre trenta premi in giro per il mondo.
La Puglia è impegnata in prima fila nella promozione del cinema. Lo dimostra l'attività dell'Apulia Film, la commissione che ha come obiettivo la valorizzazione non solo del territorio ma anche della cultura cinematografica. Nelle parole di Vendola: "Il cinema non deve nascondere le cose brutte. Ci sono ancora cose terribili nella nostra terra. E bisogna fare luce piena sul male, illuminando ogni zona d'ombra, ogni sciatteria. Non vogliamo fare solo marketing territoriale. La promozione culturale è produrre officine, laboratori, occasioni di lavoro. Vogliamo sguardi creativi". Una grande, moderna e critica fabbrica del cinema.
segnalato da Rosalba Zubcich