l’Unità 30.7.11
La lezione di Berlinguer e la riforma della politica
L’intervista sulla «questione morale» ci lancia tre sfide: intransigenza etica, no all’occupazione dello Stato e cambiamento delle istituzioni
di Giorgio Tonini
Èun bene che si sia riaperto il confronto sulla storica e insieme attualissima riflessione politica, proposta trent'anni fa da Enrico Berlinguer, nella famosa intervista a "La Repubblica" sulla "questione morale". Berlinguer chiedeva di mettere in campo una diversa cultura politica, una nuova concezione del rapporto tra politica e istituzioni. Non più finalizzato alla gestione, che diventa occupazione, delle istituzioni e alla spartizione delle loro spoglie da parte dei partiti, ma orientato al governo della cosa pubblica, alla sua continua riforma, nell'interesse dei cittadini.
Tutto è cambiato, intorno a noi, da quel 28 luglio del 1981. Ma questo problema resta tragicamente irrisolto. E se sta montando, tra i cittadini, tra i nostri stessi elettori e militanti, una nuova ondata di anti-politica, è perché la politica appare ancora troppo prepotente nell'occupare le istituzioni e invece impotente, incapace, svogliata nel farle funzionare bene. Del resto, la politica, in tutto il mondo e in Europa in misura particolare, fa sempre più fatica non dirò a governare, ma perfino a orientare, a influenzare il mercato. Per tante ragioni, a cominciare dalla dimensione ancora angustamente nazionale nella quale si muove, mentre la formidabile potenza, spesso davvero irrefrenabile, dell' economia e della finanza, non conosce più altri confini che quelli globali.
E tuttavia, in Italia come nei principali paesi europei, circa metà del reddito nazionale è a vario modo gestito dal sistema pubblico e quindi dipende, per la sua efficienza economica e per la sua qualità sociale, dalla politica. La quale, in questo ambito, limitato certo, ma comunque enorme e strategico, è la principale responsabile dell'impiego delle risorse.
Quando allora, come avviene in Italia, la spesa pubblica non fa, almeno a livelli accettabili, né efficienza economica, aiutando il paese a stare con successo nella competizione sui mercati, né uguaglianza sociale, garantendo a tutti i cittadini uno zoccolo alto di diritti e pari opportunità, non c'è da stupirsi se la politica finisce sul banco degli imputati. Tanto più se, come è avvenuto in Italia dal 1994 ad oggi, a differenza di quanto si potesse dire trent'anni fa, entrambi gli schieramenti politici si sono alternati alla guida del paese.
Sarebbe improprio cercare, nelle parole pronunciate da Berlinguer trent'anni fa, una risposta alla crisi politica di oggi. Eppure, quell'intervista, a leggerla bene, ci propone tre stelle fisse, dalle quali difficilmente si potrà prescindere, per ricostruire la credibilità della politica..
La prima è l'intransigenza morale, incarnata in un rigoroso rispetto del principio di legalità: "Essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell' amministrazionediceva Berlinguer bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera". Su questo piano, ha ragione Bersani nella bella lettera al "Corriere" di martedì scorso, la nostra impostazione è quella giusta: fiducia nella magistratura, presunzione d'innocenza, passo indietro da parte di chi è indagato, senza alcuna impunità.
La seconda stella fissa è il moto liberale contro quella che Berlinguer chiama la "occupazione dello stato da parte dei partiti e delle loro correnti". Su questo ancora non ci siamo. Per fare solo un esempio, al di là degli aspetti penali, sui quali giudicherà la magistratura, il senatore Tedesco non poteva e non doveva fare l'assessore alla sanità: perché era in conflitto d'interessi e perché rivendicava e rivendica tuttora il diritto a scegliere i primari, mentre non può, non deve essere la politica a farlo.
La terza stella fissa, come ha scritto giustamente Eugenio Scalfari, è il riformismo: stiamo al governo delle istituzioni per rinnovarle, non per gestirle come sono: vale per i bilanci di Camera e Senato, come per il sistema delle autonomie locali. Come stava scritto nel programma elettorale di Veltroni nel 2008, spendere meno e spendere meglio si può. Dunque si deve.
l’Unità 30.7.11
Risposta a Vacca
Le ingerenze vaticane non sono finite
di Giunio Luzzatto
Galli Della Loggia ha auspicato una “Nuova DC” che, finito Berlusconi, si contrapponga a destra al centro-sinistra guidato dal PD. Beppe Vacca (l’Unità del 28 luglio) replica citando le posizioni del Cardinale Bagnasco, Presidente della CEI, e ne deduce che “sembra improbabile che la Chiesa possa essere interessata a contrapporre una nuova DC al PD”. Tra le affermazioni riportate con molto favore, la seguente, riferita all’azione della Chiesa in Italia: “Troppo spesso si definisce ingerenza la semplice presenza, che disturba il fondamentalismo laico”.
L’ingerenza delle gerarchie cattoliche nella vita politica del Paese invece vi è, ed è pesante. Essa fa capo, oltre che alla CEI, direttamente al Vaticano; per valutare l’operato dei vertici ecclesiastici si deve perciò guardare anche al Segretario di Stato Bertone, che gioca in prima persona pur essendo il Ministro degli Esteri di un altro Stato (più ingerenza di così ...). Solo sull’Italia il Vaticano vuole, letteralmente, dettar legge, pretendere cioè che i legislatori operino sotto la propria dettatura, e impone ai suoi fedeli addirittura le tattiche.
Ai cattolici è stato ordinato di disertare i seggi nel Referendum sulla fecondazione assistita: ciò comprometteva la stessa segretezza, perché già il recarsi alle urne costituiva una scelta di voto pubblica. Si esclude l’autonomia dei Parlamentari nelle decisioni non solo su temi “etici”, ma perfino sui codici civile (normativa sulle convivenze) e penale (l’omofobia come aggravante); viene posto il veto a ogni soluzione politica che tenti di mediare tra le proprie posizioni e le legittime posizioni di altri. E’ vero fondamentalismo: la legislazione statale in tema di diritti non deve rappresentare il massimo possibile di opinioni condivise, bensì solo le idee di chi ha il potere di imporle.
L’ultima ingerenza. Bertone ha convocato un summit di cattolici impegnati nella società: politici presenti in vari partiti (per il PD, solo quelli di uno specifico gruppo interno), esponenti di associazioni. La riunione doveva restare segreta; una volta svelata, vari partecipanti hanno affermato che l’obiettivo è un organico raccordo nell’azione dei cattolici ovunque collocati, non la costituzione della nuova DC. Le smentite in questi casi non hanno un gran valore; in ogni caso, altro che mera “presenza che propone una prospettiva antropologica” (Bagnasco)!
Le prime vittime delle pretese clericali sono quei “cattolici adulti” che hanno preso sul serio le indicazioni del Concilio Vaticano sulle responsabilità proprie dei credenti impegnati nella vita pubblica. Le durissime parole di Rosi Bindi dopo il voto della Camera contro l’aggravante per l’omofobia dimostrano che, fortunatamente, alcuni di essi non chinano la testa.
il Fatto 30.7.11
Imprescindibile Gramsci
di Angelo d’Orsi
Imprescindibile Gramsci
di Angelo d’Orsi
Sappiamo che il signor Anders Behring Breivik ha impiegato un anno a trasporre in testo (1500 pagine circa!) il proprio sogno di una Europa purificata da musulmani, comunisti, democratici, “relativisti” e “multiculturalisti”: un miscuglio indigesto, ma interessante, di analisi storica, gonfio di riferimenti teorici (e di indicazioni bibliografiche), ma pure di precisazioni tecniche su come procedere alla costituzione dell’esercito crociato ed eliminare, anche con armi di distruzione di massa, i nemici. Un manuale d’odio, il cui scopo dovrebbe essere la liberazione del Continente (data prevista 2083, che entrerà d’ora in poi tra quelle della distopia contemporanea) dalle troppe “idee sbagliate” che, nella visione del suo autore, stanno recidendo le radici europee; la famosa “identità giudaico-cristiana” che ci sentiamo ripetere come un mantra, priva, in realtà, di fondamento, in quanto l’Europa è un tipico esempio di fusione, in particolare proprio con l’Islam, come dimostrò qualche anno fa lo studioso Richard Bulliet.
I pensieri e le abitudini di Breivik sono già di pubblico dominio, grazie ai media e al web, andando così incontro al desiderio del giovanottone norvegese di “passare alla storia”, benché non come ispiratore delle "nuove milizie cristiane", che si rifanno nientemeno che all'Ordine dei Templari, bensì come autore della più efferata strage a radice ideologica mai compiuta da un solo individuo.
Qui vorrei, però, sottolineare che tra i tanti avversari sul piano culturale, a parte tutto quanto si richiama all'islam a cominciare dal Corano, Breivik, annovera, accanto alla Scuola di Francoforte e Lukács, Antonio Gramsci, alla cui meditata lettura (suggerisce di leggerlo “slowly”, con lentezza), nondimeno, egli invita. Gramsci è visto come il teorico dell’egemonia, e dell’“uomo comunista”, e della “lunga marcia” attraverso le istituzioni educative e culturali per giungere alla rivoluzione politica. E Breivik avverte della pericolosità e pervasitivà delle idee gramsciane. E per difendersene, consiglia la lettura in particolare di alcuni testi, dagli articoli giovanili al Saggio sulla questione meridionale ai Quaderni del carcere. Persino le Lettere sono indicate tra i testi imperdibili per i nuovi crociati, i “Pauperes Commilitones Christi Templique Solomonici”. Si tratta di studiare bene chi è il nemico, la sua antropologia e non solo la sua filosofia politica. Evidentemente dall’epistolario emerge la personalità del suo autore, un gigante davanti al nano nordico, a dispetto delle relative altezze fisiche, rovesciate.
Strano destino, quello di Gramsci, usato, ora intelligentemente, ora scorrettamente, da sinistra e da destra: Togliatti ne fece l’alfiere del “Partito nuovo” e la base per l’egemonia culturale; la destra radicale in tempi recenti lo issò sulle proprie bandiere come pensatore armonico e gerarchico; Fini lo portò a sciacquarsi nelle acque di Fiuggi, come autore nazionale; leader populisti, da Sarkozy a Chávez lo citano correntemente; infine, è giunto a Sanremo e, conseguentemente, per la prima volta è divenuto un best-seller. Ma che dovesse essere citato e proposto all’attenzione dei suoi sodali da un criminale politico nazistoide, questo, davvero, non ce lo saremmo aspettato. Eppure, superato lo sconcerto, non se ne può che trarre una conclusione: Gramsci oggi più che mai è un autore imprescindibile.
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