mercoledì 27 luglio 2011

l’Unità 27.7.11
Piazze occupate contro il caro vita e l’impennata dei prezzi delle abitazioni
Peres: «Ceti medi in ginocchio». Il premier Netanyahu crolla nei sondaggi e scende al 31%
Israele, rivolta contro la destra: non si arriva alla fine del mese
Occupano le piazze. Conquistano le prime pagine dei giornali. Costringono Netanyahu sulla difensiva: sono gli «indignados» israeliani, protagonisti di una protesta sociale sostenuta dal 90% dell’opinione pubblica.
di Umberto De Giovannangeli

Da Tel Aviv a Gerusalemme, da Haifa a Beer Sheva: la protesta sociale dilaga in Israele, con pesanti ricadute sugli equilibri politici nello Stato ebraico. Gli «indignados» conquistano le piazze e le prime pagine dei giornali e le aperture dei Tg.
Davanti alle dilaganti proteste di piazza per il caro alloggi e la crisi sociale, il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, in una frettolosa conferenza stampa, ha illustrato ieri a Gerusalemme un piano volto ad assicurare in meno di due anni abitazioni a un costo accessibile per studenti, giovani coppie e soldati smobilitati.
Dopo aver esordito con l'ammissione che «la crisi degli alloggi è reale», Netanyahu ha annunciato che il piano, che in alcuni punti dovrà essere approvato dalla Knesset (il Parlamento), prevede una serie di riforme in grado a suo dire d'immettere sul mercato 50 mila nuovi appartamenti entro un anno e mezzo. È inoltre prevista la costruzione di 10 mila alloggi a prezzo contenuto per gli studenti e il dimezzamento del costo di tutti i trasporti pubblici per quelli che vivono in località periferiche distanti dalle sedi di studio.
Netanyahu - allarmato per l'ondata di contestazioni tanto da rinviare una visita ufficiale in Polonia - ha attribuito parte considerevole della crisi alle «intollerabili» lentezze burocratiche nell'approvazione dei programmi di edilizia da parte delle competenti commissioni e al fatto che il 90% delle terre è nelle mani dell'Israel Land Administration (monopolio governativo che amministra il demanio). Il piano - ha promesso - intende forzare comunque anche i proprietari privati di case sfitte, attraverso strumenti fiscali, a metterle sul mercato. A giudicare dalle prime reazioni, raccolte dai media locali, le misure del premier non sembrano aver tuttavia convinto la piazza, simboleggiata fra gli altri dai manifestanti accampati nel centralissimo Boulevard Rotschild, nel cuore mondano di Tel Aviv.
LA PROTESTA DILAGA
Tanto più che la«rivolta sociale» contro la destra di governo - inedita da molti anni in queste forme nel Paese - si è già allargata ben oltre la questione casa, per coinvolgere settori diffusi dei ceti medi toccati dal carovita, dalle crescenti disparità e dal livello degli stipendi medi israeliani, che restano stagnanti a dispetto del buon andamento dei dati macroeconomi-
ci degli ultimi anni. Ieri, toccando per la prima volta
l'argomento, il presidente, Shimon Peres, ha parlato della necessità di dare risposte concrete a ceti sociali che «hanno contribuito in modo decisivo alla crescita» di Israele, riconoscendo apertamente che fasce della classe media «non riescono ad arrivare ormai a fine mese». Un sondaggio, pubblicato dal quotidiano liberal Haaretz, indica intanto che Netanyahu ha già subito una forte perdita di consensi, scendendo dal 51% di due mesi fa al 31 di adesso.
Dalla rilevazione risulta inoltre che le manifestazioni contro il caro alloggi e quelle dei medici per un miglioramento delle condizioni di lavoro e della sanità pubblica possono contare sul sostegno di massa di quasi il 90% della popolazione.
Nonostante le rassicurazioni ventilate, il bersaglio numero uno della protesta resta il premier, Benyamin «Bibi» Netanyahu. «Ne abbiamo abbastanza di Bibi», era la scritta più gettonata -insieme con «Pane e casa non sono un lusso» - fra i cartelloni inalberati qualche sera fa nella piazza del teatro Habima di Tel Aviv, dove all'improvviso si sono ritrovate 20.000 persone. Mentre a Gerusalemme la campagna degli «indignados» israeliani - sebbene partita più tardi - è sfociata nei giorni scorsi in un doppio blocco degli accessi della Knesset.


l’Unità 27.7.11
Evoluzione umana
Siamo meticci: la «razza pura» è solo in Àfrica
Gli scienziati hanno riscritto l’evoluzione umana alla luce dei rilevamenti genetici: in Europa e in Asia l’Homo sapiens ha un «Dna arlecchino», frutto di incroci con altre specie
di Pietro Greco

Era una bella storia - semplice, lineare, consolatoria - quella    dell’evoluzione umana che abbiamo appreso a scuola e che si è conservata pura fino a una decina di anni fa. Ci narrava come in principio è venuto Homo habilis, 2 milioni e mezzo di anni fa o giù di lì, che si è distaccato dai rami delle Australopitecine, con un bel balzo cognitivo ha imparato a lavorare la pietra e ha così inaugurato il genere Homo. Poi mezzo milione di anni dopo è venuto Homo erectus, che ha raggiunto, anche come massa cerebrale, le nostre dimensioni, è uscito dall’Africa e ha colonizzato l’intero pianeta. Infine duecentomila anni fa, sempre in Africa, siamo venuti noi, gli Homo sapiens. Anche la nostra specie ha lasciato l’Africa, più o meno centomila anni fa, e ha preso progressivamente possesso di tutti i continenti. Certo, i nostri antenati hanno incontrato gli eredi degli erectus, di Neandertal. Ma senza mescolarsi con loro. In ogni caso loro, i neandertaliani, gli uomini antichi, si sono estinti, circa 40.000 anni fa, mentre noi sapiens, ormai soli in virtù delle nostre superiori capacità mentali, abbiamo acquisito il linguaggio vocale complesso, abbiamo inventato l’arte (la splendida arte rupestre) e abbiamo dato una brusca e decisiva accelerazione a all’evoluzione culturale.
Bene, questa bella storia in cui Homo sapiens arriva alla fine, sbaraglia tutti e sale in cima alla scala grazie alle sue superiori qualità, è stata completamente riscritta dagli scienziati grazie a nuovi ritrovamenti fossili e, soprattutto, allo studio del Dna. La nuova storia è molto più complicata. Ricca di nomi e di situazioni. Tortuosa e persino ingarbugliata. E ha un finale a sorpresa.
Ce ne fornisce un ottimo riassunto Telmo Pievani, filosofo della scienza, nel libro La vita inaspettata che ha da poco pubblicato con l’editore Cortina.
In primo luogo Pievani ci ricorda che a uscire dall’Africa e a disseminarsi per il globo in diverse ondate successive sono state almeno tre specie diverse del genero umano. Per primo è partito Homo ergaster (o Homo erectus) circa 1,9 milioni diannifaeinpoco millenni si è insediato in tutta l’Eurasia. Poi, mezzo milione di anni fa, è partita l’onda degli Homo heidelbergensis (o Homo rhodesiensis). È questa la specie cui appartengono i Neandertal. Infine dall’Africa è partito in almeno due ondate Homo sapiens. Una prima volta, tra 120 e 100.000 anni fa, ha raggiunto le coste dell’Arabia e si è disseminato per la penisola. Non sappiase è riuscito ad andare oltre. La seconda volta, tra 80 e 70.000 anni fa, ha at-
traversato il Sinai ed è giunto in Medio Oriente, da cui è partito seguendo almeno due strade diverse alla conquista (ma occorrerebbe parlare di semplice diffusione, perché non c’è nulla di militare in questi spostamenti di popolazioni di migranti) dell’Asia e dell’Australia. Dal Medio Oriente i sapiens sono partiti anche, intorno a 40.000 anni fa, per diffondersi in Euro-
pa. Contrariamente a quanto si credeva, appunto, fino ad appena dieci anni fa, la nostra specie non ha incontrato solo i Neandertal, antichi eredi dei migranti heidelbergensis. E non li ha incontrati solo in Europa e in Medio Oriente.
Ma andiamo con ordine. Nell’anno 2003 nell’isola indonesiana di Flores sono stati trovati i resti di uomini molto diversi da noi: più bassi di statura e con un volume cerebrale pari a un quarto del nostro. Gli antropologi hanno ribattezzato Homo floresiensis quella specie sconosciuta di uomini e hanno dimostrato che sono discendenti della prima ondata migratoria, quella degli ergaster (o erectus). E che, per adattarsi all’ambiente dell’isola in cui sono giunti probabilmente 900.000 anni fa, hanno diminuito la massa corporea e cerebrale. Lo strano è che quei resti risalgono ad appena 13.000 anni fa. Quando a Flores erano giunti anche i sapiens. Dunque i nostri antenati hanno convissuto con un’altra specie umana fino a tempi recentissimi.
Ma le sorprese non sono finite. Perché nel 2008 nella grotta di Denisova, sui Monti Altai, in Siberia, è stato rinvenuto un dito con un Dna relativamente integro che ha consentito a Svante Pääbo, il maestro dell’antropologia molecolare, a Johannes Krause e a un folto gruppo di collaboratori del Max Planck Institute di Lipsia di confermare che lì è vissuta una specie umana, ribattezzata Homo di Denisova. Anche questa specie è una discendente degli ergaster, giunti da quelle parti oltre 1,5 milioni di anni fa. Il dito, tuttavia, è appartenuto a un individuo vissuto circa 40.000 anni fa. E il bello è che lì vicino, nelle valli dei Monti Altai, sono stati trovati anche resti sia di Neandertal sia di sapiens risalenti più o meno allo stesso periodo. Dunque nella Siberia meridionale sono vissuti contemporaneamente membri di tre specie umane diverse, partite dall’Africa in tre epoche diverse: 1,9 milioni di anni fa; 500.000 anni fa e 80.000 anni fa. Non è finita. Perché, ricorda ancora Pievani, tra gli antropologi si sta facendo sempre più robusta la convinzione che un’altra specie umana, Homo erectus soloensis, discendente appunto degli antichi erectus, sia vissuta sull’isola di Giava fino a circa 40.000 anni fa.
Abbiamo, dunque, le prove che mentre noi sapiens stavamo acquisendo il linguaggio forbito e stavamo imparando a dipingere sulle pareti delle grotte, dividevamo il pianeta con almeno altre quattro specie appartenenti al genere Homo (Neandertal, Homo di Denisova, Homo erectus soloensise Homo floresiensis). E che questa convivenza è durata, almeno con alcuni, fino a poche migliaia di anni fa.
Per la gran parte della nostra presenza sulla Terra, in Africa e anche fuori dall’Africa, non siamo stati dunque soli. E nessuno, in tutti questi millenni, avrebbe avuto fondati motivi per scommettere sul successo della nostra specie, invece che su quella di altre. Altro che inevitabile conseguenza di una storia lineare. Noi sapiens siamo usciti vincitori a seguito di una serie fortunata di circostanze, al termine di un lunghissimo gioco dall’esito mai scontato.
E non vi abbiamo ancora detto della sorpresa finale. Il primo ad analizzare il Dna (mitocondriale) dei Neandertal è stato, proprio una decina di anni fa, il già citato Svante Pääbo. Il quale sulla base dei dati disponibili aveva escluso che Neandertal e sapiens si fossero accoppiati. O, almeno, che accoppiandosi avessero avuto una progenie a sua volta prolifica. Insomma, una decina di anni fa avevamo buoni motivi per credere che il nostro Dna di uomini sedicenti sapienti fosse, per così dire, «puro».
Ma proprio lo scorso anno Svante Pääbo ha presentato i risultati dell’analisi comparata del Dna di uomini di Neandertal e di uomini moderni. Scoprendo che nel Dna degli africani, discendenti di sapiens mai usciti dall’Africa, il Dna non presenta tracce di ibridazioni con quello dei Neandertal. È, per cosìdire,«puro».Mentre il Dna degli europei e degli asiatici ci sono tracce (intorno al 4% del materiale genetico) ereditato da uomini di Neandertal. La nostra specie si è incrociata, più o meno saltuariamente, con quegli uomini più antichi e noi europei e asiatici ne conserviamo la traccia. Le stessa cosa è avvenuta tra i sapiens asiatici e membri della specie Homo di Denisova, perché nel Dna di uomini moderni che vivono in Nuova Guinea e in Melanesia sono state trovate tracce (intorno al 5-8%) di quegli antichi discendenti degli ergaster.
Altro che Dna puro. Il nostro è, come scrive Telmo Pievani, un «Dna arlecchino». Frutto di una piccola promiscuità genetica che ha accompagnato una elevata promiscuità fisica con tante altre specie di uomini. Il nostro successo la nostra fortuna è anche il frutto di questa capacità di saper accettare e abbracciare «l’altro».

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